Alcune mie annotazioni sulla seconda puntata di "Esterno Notte", la serie televisiva diretta da Marco Bellocchio
In un interessante e recente saggio dal titolo significativo" Comunità seriali" (Meltemi 2022) il giovane studioso di cinema e sistemi mediali, Massimiliano Coviello, indaga su come le comunità si rappresentano, si costituiscono e come, oggi più che mai, proprio le serie tv sono i luoghi dell'immaginario che contribuiscono ad "elaborare" le modalità di essere individui e comunitari nei contesti sociali, economici e politici. In particolare il rapporto che si struttura nei confronti della perturbante alterità che può trovare dimora entro di noi o nello specchio sociale deformato e irrisolto. Ma il saggio di Coviello si spinge oltre. Cerca di dimostrare che la stessa narrazione seriale contribuisce, nell'epoca della transmedialità a costituire comunità di plurime dimensioni spaziali e temporali a significare come il confine di separazione tra virtuale e reale ormai sia stato travalicato.
La mini serie televisiva diretta da Marco Bellecchio "Esterno notte", germinazione sequenziale di un suo film su Moro di 20 anni fa "Buongiorno, notte", mette al centro della memoria collettiva un momento storico traumatico di un intero paese, l'uccisione di Aldo Moro per mano delle Brigate Rosse nel 1978 in un momento di grande trasformazione politica e sociale del paese. Un passaggio segnato dal fatto che il PCI ( Partito Comunista Italiano), il più grande partito comunista europeo, entra a far parte della maggioranza del governo su uno schema politico "il compromesso storico" elaborato da Moro e Berlinguer, che aveva come finalità di rompere i condizionamenti politici reciproci che impediva lo sviluppo dei due partiti di massa (DC e PCI) e con essi l'evolversi della società italiana. Un periodo in cui era presente una forte conflittualità sociale, la Repubblica Italiana restava una forma di democrazia incompiuta sollecitata a gradi riforme economiche, politiche e sociali da compiere per un suo ammedornamento e il progresso civile e sociale. I movimenti dei giovani, delle donne e le agitazioni operaie attestavono con la messa in crisi dei partiti storici, non più rappresentativi di altri soggetti sociali, la richiesta di nuovi diritti individuali e sociali (divorzio, aborto, statuto dei lavoratori) e di nuove forme di distribuzione della ricchezza e riequilibrio territoriale tra nord e sud dopo un periodo di intensa emigrazione che aveva sconvolto la cartina geo-sociale dell'Italia. Tutto questo in un contesto di forte condizionamento internazionale determinato dai blocchi contrapposti. Prospettiva non facile che ha fatto deflagare entro e fuori i partiti, le stanze del potere visibili e nascoste, creando perversi connubi (p e. tra servizi segreti e spezzoni della politica e della società più retriva) che trovavano diramazioni organizzative dentro frange politiche e società segreti massoniche e delinguenziali (attentati e strategie della tensione).
Il film si richiama a questo periodo storico, ricco di incognite politiche e morali ancora tutte da risolvere, che hanno condizionato il futuro degli italiani.
Bellocchio ritorna su un fatto tragico, il più importante del secondo dopoguerra, cercando di seguire dall'interno degli avvenimenti dei giorni del sequestro la vita di alcuni protagonisti delle Brigate Rosse e delle forze politiche e governative. Bellocchio non ne fa assolutamente una semplice ricostruzione storica. La dimensione narrativa si dilata attraverso forme simboliche, iconiche e fantastiche che proiettano il racconto entro una dimensione artistica tesa a cogliere le dimensioni di una realtà non sempre definibile dalle coordinate storiche sociologiche.
Nel film le Brigate rosse vengono colte non tanto nella loro "follia politica" quanto nella loro inesplicabile paranoia e irrazionalità. Mentre dal punto di vista del potere politico i protagonisti dei partiti istituzionali , assumono tratti caricaturali, il cui carattere é disegnato già dalla loro fisionomica.
C'è la consapevolezza, (come già in Pasolini) che il regista sa di chi é la responsabilità della vicenda e della morte di Moro. Riguarda soprattutto il sistema di potere democristiano e di una classe politica chiusa in sé e vittima della paura di una sua imminente implosione.
La mini seria potrebbe essere catalogata come storica, ne mantiene alcune caratteristiche di fondo. L'ambientazione e i continui riferimenti di cronaca dell'epoca la collocherebbero in una dimensione temporale ben definita.
Lo sviluppo delle storie dei singoli personaggi emergenti da un plot comune, rivela invece, l'audacia del regista nel fare esplodere "cinematograficamente" alcuni tratti della vicenda per sporgersi su dimensioni più profonde che sfondano il piano storico per lambire il piano antropologico, filosofico e anche per altri versi teologico nel relazionare il potere, le convinzioni e i comportamenti singoli e collettivi. Chiaramente trasfigurati in una dimensione artistica che non si priva del piano metaforico.
Il film si muove su livelli "artistici e comunicativi" plurimi. Uno di questi a mio avviso ha un forte tratto psicoanalitico.
Per esempio la presenza di immagini e documenti reali d'epoca gioca sul duplice piano, quello documentale, e nello stesso momento conferisce al racconto un alone di diniego della stessa realtà.
Gli spezzoni visivi o scritti d'epoca oltre a rappresentare una traccia menestica della vicenda, entrano in scena assumendo un ruolo espressivo molto significativo sopratutto in il rapporto e in dialettica con i personaggi.
Nel gioco di finzione, si crea uno stridore tra la apparente verità documentale e invece l'indicibile proprio della sua oscenità.
Proprio in questa ambiguità il film trova una chiave espressiva.
Nel secondo episodio (il Papa e i brigatisti emerge in modo evidente il conflitto psico/sociale e politico che coinvolge i protagonisti. Mi soffermo solo su alcune di esse a mo' di esemplificazione. Il Papa, Paolo Sesto (il papa del dubbio), la Faranda del gruppo strategico delle BR, e Monsignor Curioni, cappellano di San Vittore e uomo di fiducia del Papa nel volere organizzare una trattativa per liberare Moro pagando un riscatto.
Che in qualche modo la psocanalisi giochi un ruolo lo si può intuire anche dalla paradossale soluzione del film, infatti Moro non viene ucciso (come nella realtà) ma grazie alla "grazia" dei BR torna a lanciare una grande accusa alla DC da cui dichiara di dimettersi.
In qualche modo il ritorno di Moro indica una presenza che non è mai scomparsa, una presenza che quanto più rigettata nel nostro inconscio collettivo torna con tutta la sua carica perturbante segno di un fallimento politico e civile che ha reso "deficiente" la nostra realtà privandola di salde strutture democratiche in grado di combattere non solo le forme deviate ma di creare una strana convivenza e un rispecchiamento reciproco tra stato e BR. Se Pasolini, poteva parlare di una nuova conformazione del fascismo entro una società repressiva e neocapitalista, assolitizzando il discorso e di fronte alle stragi urlare il suo "Io so", Bellocchio parla invece di un rimosso che continuamente ritorna come una pulsione di morte che si manifesta sotto forma di coazione a ripetere che priva di qualsiasi forma di libertà e prospettiva. Si pensi nel film alle varie forme di nevrosi o di tic che si manifestano. Moro che ha l'ossessione di lavarsi le mani, la vicenda domestica di Cossiga, il perverso rapporto con il cibo di Andreotti o il sonnambulismo del brigatista Moretti. La difficoltà notturna dell'insonnia colpisce Moro e gli altri protagonisti.
Per tornare ai tre personaggi mensionati in precedenza é interessante, ma qui è la grandezza del regista e la bravura degli interpreti, seguirli nella loro evolversi per cogliere l'emergere delle contraddizioni delle loro figure. La Faranda che sgretola la sua rigidità comportamentale e ideologica (caratteristica dei brigatisti che sembrano automi chiuso nella loro strategia ed esaltazione ideologica dell'azione) con l'orribile sogno dei cadaveri nel fiume di moro e di alcuni brigatisti, che è quasi una allucinata e catastrofica visione conclusiva trattenuta da meccanismi di razionalizzazione e integrazione nel gruppo. Il sogno del Papa, che trasforma Moro come un Cristo sotto il giogo della croce, a sopportazione dei mali altrui, in questo caso del dominio democristiano, rivelano tutta l'impotenza di un potere, incarnato, soggiogato al proprio ruolo che ne impedisce l'umanità. E poi la terza figura, il cappellano, alter ego del Papa, Monsignor Curioni, che è incaricato di condurre trattative segrete con le Brigate Rosse. È lo sdoppiamento conflittuale in una figura papale che mentre da un lato dovrebbe rappresentare il vertice dell'umanità, il Cristo in croce (e quindi salvare l'amico Moro), si dimostra di fatto incapace a portare la croce, dell'altro è incarnazione del potere ecclesiale che rappresenta ed entro cui si definisce. Il conflitto si manifesta in una notte particolare. Il pontefice vuole scrivere una lettera alle BR per chiedere la liberazione di Moro. È tormentato perché non riesce a trovare un linguaggio immediato e capace di trasmettere la sua compassione. Telefona a Monsignor Curioni per un consiglio. La risposta è che il Papa deve fare il Papa non può desistetere dal suo ruolo e responsabilità di capo della chiesa e non può avere altro linguaggio. Il papa subisce il consiglio.
Questi esempi che ho apportato mostrano come il registra gioca su parametri che più che voler volgere ad una ricostruzione puntale delle vicenda, sottolinea l'emblematicità di alcuni comportamenti e modi di essere dei personaggi, che dietro ad un atteggiamento particolare manifestano comportamenti collettivi, forme di schiavitù nei confronti delle proprie pulsioni che alimentano la produzione di un potere fine a se stesso che si nutre della paura della fine o della paura paranoica della persecuzione.
Tutto questo dona agli episodi una tonalità cupa e di ineluttabile fine, priva di possibilità di riscatto e trasformazione. Un trauma che non assume le forme di una crisi, che porta con sé le possibili soluzioni ma apre, invece, uno scenario catastrofico e nichilistico. Questo nichilismo che si rispecchia anche ed emblematicamente nella figura del brigatista Moretti, di cui in un drammatico dialogo con la Faranda svela il sentimento mortifero che lo accompagna e la sua lucida visione del fallimento e inutilità della "rivoluzione", la cui visione e credo hanno solo la funzione della pura azione, del bel gesto rivoluzionario come affermazione di una esistenza priva di qualsiasi valore o di un assoluto che ha l'unica scopo di giustificare il nulla.
Certo la serie si sofferma su un periodo definito, ma a mio avviso ne riduce la complessità, chiude lo sguardo ai sommovimenti culturali, sociali e civili, che proprio in quel periodo prendono vita, sconvolgendo la realtà nei suoi valori e comportamenti fondamentali, basti pensare ai movimenti giovanili e femministi. Nonché alle rivendicazioni del mondo del lavoro, a cui proprio quel potere non ha saputo dare risposta, reagendo in modo reattivo e difensivo. In ciò si rispecchia la sterile ideologia, astorica e priva di contatto con la realtà, delle Brigate Rosse, che si sono rese funzionali ai processi difensivo e "repressivi" della reazione.
Certo sarebbe interessante in confronto con Todo Moto Scoscia - Preti. Magari più in là.
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