domenica 11 gennaio 2015

Integrale intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno del 5/01/215 a cura di Mariangela Caporale su Associazione e Festival delle Cento Scale

- Potete fare una breve storia dell' Associazione e del Festival?

L'associazione Basilicata 1799 nasce circa 20 anni fa con prevalente interesse di carattere filosofico. Le prime cose che abbiamo realizzato sono state con l'Istituto Italiano degli studiFilosofici di Napoli dopo la conoscenza dell'Avvocato Marattache immediatamente ci appoggiò. In seguito ci siamo resi conto che il "castello dorato"della filosofia andava aperto all'incontro con altri campi d'interesse e abbiamo incominciato ad interloquire con l'architettura, con una serie di appuntamenti biennali in cui si tentava di tracciare il profilo della città contemporanea. Questo ci ha portato a passare, come dire, dal piano teorico al piano pratico. Cercando di comprendere come fosse possibile suggerire nuove modalità di concepire la città, i suoi luoghi le relazioni di variotipo che s'intrecciano attraverso forme di partecipazione dei cittadini. Il tutto precipita nel progetto "Arte in Transito" che è stato un modo di scuotere la città rispetto a certi stilemi di concepire la cultura "alta" ancora con schemi "ottocenteschi" , così come ci appariva essere manifestata in particolare modo nella città di Potenza, privilegiando forme espressive più relazionali e per la prima volta coinvolgendo tanti "artisti" di Potenza, giovani soprattutto, a segnare con attività, workshop, "invasioni" artistiche i luoghi di passaggio, quelli di scambio relazionale, della città. L'altra tappa fondamentale è stata "Estetica del virtuale", che ci ha permesso di fare un focus sugli sviluppi innovativi tra cultura e nuove tecnologie e le forme di realtà ad esse inerenti. In seguito nasce il Festival che fa la sintesi di tutte queste esperienze e che ormai ha già raggiunto la sesta edizione ed è ritenutoun'importante realtà italiana e soprattutto del Mezzogiorno.

- Ho sempre pensato che questo Festival non fosse una generica riflessione sulla dimensione urbana della vita di una comunità, ma che avesse in sé una chiara istanza politica, che si trattasse di un momento di analisi critica e progettuale della nostra città e che volesse esprimere obiettivi realmente trasformativi. É la mia una interpretazione corretta?

Per anni il nostro lavoro ha tenuto presente come articolare nella loro molteplicità di significati i termini Polis, Comminitas e Città.Il termine Polis indica la città dell'antica Grecia (come archetipo di tutte le città). Tale città è caratterizzata dalla vita pubblica. L'individuo-cittadino, membro della città è la stessa città, la sua individualità si identifica con l'essere pienamente cittadino-comunità. il termine Communitas richiama a qualcosa di più originario e se vogliamo "eversivo". Chiaramente qui non si intende la comunità come una piccola patria chiusa in se stessa, avversa al mondo circostante. Nel termine Communitas è presente il munus, che significa dono. Il dono è tale solo se non è legato a nessuna forma di scambio economico in senso utilitaristico, esso qualifica ciò che tiene insieme i membri della comunità. Il dono è il presentarsi all'altro nell'offrire, cioè nel senso di rendere partecipe di un qualcosa. La città non è solo il costruire (sogno di politici e speculatori) ma l'abitare, il movimento, l'incontrarsi eanche la possibilità di vivere nella discreta dimensione individuale. Essa è costituita da luoghi ampi, collettivi, ma anche da spazi intimi dove recuperare il "faccia a faccia". La città è rete di strade, d'informazioni, di merci, ma anche d'incontri e di presa di responsabilità. In tal senso abbiamo pensato di attivare la cultura nelle sue molteplici forme  per non chiuderla al culto di pochi addetti o relegarla in stanche forme rituali per auto celebrazione di appartenenza o di potere. Abbiamo cercato divalorizzare anche gli aspetti metropolitani in essa presenti a confronto con i temi della globalizzazione. Confrontarsi e aprirsi al nuovo sentire che è comunicazione veloce ed immediata e nello stesso tempo pensare a "luoghi", contenitori come centri attrattori di varie sensibilità: es. musei che non siano espressione di mummificazione; arte che non venga solo intesa come espressione di opere (auratiche), ma che sia anche il luogo dove possano incontrarsi la pluralità dei simboli e dei linguaggi. Riconfigurare l'immaginario e il simbolico con il richiamo al paesaggio urbano, alla verticalità della città o a nuovi simboli, vedi il ponte Musmeci, che dopo i nostri interventi è stato preso in considerazione dalla cittadinanza come un elemento d'identificazione della città. Aspetto comunicativo ed estetico devono incontrarsi e scontrarsi: Installazioni ed opere, spettacolo, arte e artificio. Da questo punto di vista non si può fare a meno delle forme della contemporaneità che investono il nuovo sentire.  E nello stesso tempo mettere in pratica forme di partecipazione nella riappropriazione di luoghi o nella loro riqualificazione, soprattutto in ciò che viene considerato come periferico, di qui l'esperienza de "Il giardino in Movimento", CitySkipe e Serpentone Reload, che sono le azioni più eclatanti, che seguono però tanti altri workshop e esperienze in merito alle trasformazioni della città e del paesaggio urbano.

Potete descrivere voi stessi le ragioni dell'ideazione di questo Festival?

Nell'ideazione del Festival si intrecciano tante cose dette in precedenza con una volontà di voler mettere in evidenza la possibilità di fare cultura ambendo ad alti livelli e confidando in una crescita continua. Non ci sono ambizioni c'è tanta umiltà, e rischi anche personali.  Un altro aspetto riguarda la "sfida", che significa per usare una parola fuori moda discernimento, cercare di non cadere nel facile consumismo o nella retorica del populismo, che si ammanta dietro espressione del tipo "cultura emozionale" con la sempiterna  presenza della parola turismo. Attenzione con questo non si vuole dire che cultura ed intrattenimento non possano viaggiare intelligentemente insieme.Però è bene marcare anche le giuste differenze che riguardano la ricerca, la creatività, la ricaduta non immediata ma a lungo termine. Il nostro festival da lavoro a tante realtà professionali locali. La cultura in questo senso è economia e lavoro.

A proposito di cultura "emozionale" il caso della Palazzina dei Giardini di Modena la dice lunga su dove si va a parare. E' quella una visione strumentale della cultura. Che vuol dire esattamente "progetto tra arte e gastronomia" (sono le parole del sindaco di Modena)?  Che i prodotti tipici trovano spazio entro l'"arte" della Palazzina di Vigarani? Se questo è il "progetto", è veramente ben poca cosa. In realtà il senso dell'operazione è semplicissimo: risponde all'idea di arte come scenografia, magari suggestiva, affascinante, o meglio ancora "emozionante" e "carina". Arte (antica e contemporanea) come location. Ci sembra di ascoltare tanti discorsi dei nostri "prodotti locali".


- Qual è il concetto di ' contemporaneo' a cui vi ispirate per la programmazione degli eventi e per l' articolazione del Festival?

Certamente contemporaneo non vuol dire essere schiacciati sull'attualità. Contemporaneo vuol dire essere in sintonia con una particolare sensibilità che coglie le grandi problematiche che ci coinvolgono e nello stesso tempo, come si diceva, cogliere questo con le voci più interessanti della cultura, dell'arte e del mondo dello spettacolo, avendo il coraggio di scegliere anche chi sta fuori dal coro mass-mediatico o che produce più contraddizioni. Si leggeva sull'inserto domenicale del Sole 24 ore di qualche settimana fa di nomi di artisti italiani, che hanno una vita più difficile in Italia che all'estero, dove sono apprezzatissimi proprio per il loro spessore e per la loro originalità. Nello scorrere l'elenco ci siamo resi conti che tanti degli indicati avevano partecipato al nostro Festival, e che alcuni d questi hanno ormai una relazione amicale con noi.


- La DANZA contemporanea è un'arte cosí poco 'popular' eppure rappresenta il punto di forza del Festival. Una scelta anticonformista, un azzardo o cosa? Vi siete fatti l' idea di avere un pubblico 'paradigmatico', magari quello che immaginavate dovesse essere il destinatario ideale della vostra proposta o avete coinvolto, più o meno consapevolmente, chi non credevate interessato ad un progetto culturale come il vostro?

Alcune giustificazione le abbiamo già date. Attenzione il nostro festival indica la danza e tutte le arti performative. Quindi anche qui non chiudiamo un settore lo apriamo esperienze creative diun vasto campo. Sembra strano, anche qui bisogna combatterecontro una visione "ottocentesca" della danza. L'esperienza che stiamo facendo con il festival è di vedere come la danza contemporanea, e le varie espressioni che noi cerchiamo di rappresentare, siano molto vicine ai linguaggi più freschi e giovanili. Il nostro è un festival multidisciplinare, antesignano rispetto a tanti e inflazionati festival (c'è un festival per tutto), e finalmente anche l'ultima normativa ministeriale sullo spettacolo dal vivo sottolinea l'importanza e la novità delle esperienze come la nostra.


-  Avete avuto difficoltà a far comprendere alle Istituzioni politiche e all' Amministrazione locale il significato e il valore del vostro Festival? Vi hanno sostenuto "resistendo" al vostro progetto o accogliendolo?

Con le istituzioni vi sono sempre delle difficoltà sia per motivi burocratici sia per motivi politici. I burocrati applicano "meccanismi" e non sempre sanno leggere oltre le "scartoffie". Ringraziando Dio ci è capitato anche qualcuno con aperture mentali e capacità ampie per guardare in prospettiva. Ce ne vorrebbero di più. Per quanto riguarda i politici il discorso è più complicato. Non sempre c'è stato feeling, soprattutto perché la cultura necessita dentro di sé di libertà, cosa non sempre gradita a chi pensa di contornarsi di fiori all'occhiello, e poi esistono e sono esistiti visioni contrastanti sulla cultura e il modo d'intendere lo sviluppo della città. Ignorasi, a volte, fa anche bene. Ed essere ignorati evita di cercare relazioni corte. C'è in giro poca onestà intellettuale.

- Che impatto credete abbia avuto finora il Festival sulla città di Potenza?

Se dovessimo rispondere in termini quantitativi con riferimento al pubblico degli spettacoli, va bene cresce di anno in anno. In termini di consapevolezza della città rispetto al festival bisogna lavorare ancora. Potenza è una città che tende a disperdersi, a non riconoscersi facilmente in ciò che accade di significativo. Lo sforzo nel futuro e di rendere ancora più protagonista la città nonostante la crisi e il dissesto finanziario del comune di Potenza, che avrà le sue ricadute sicuramente anche sulla cultura e che il nostro festival è un'occasione per la città e la nostra regione di essere proiettati a livello europeo nel campo delle arti performative.

Com'è stata l' esperienza delle tappe del Festival svolte a Matera?

E' stata un'esperienza molto bella perché prima di tutto abbiamo dato un nostro diretto, se pur piccolo, dono alla candidatura di Matera Capitale della Cultura 2019. Ciò ci ha permesso anche di realizzare i quadri di Virgilio Sieni sul Vangelo secondo Matteo, poi presentati alla Biennale Danza di Venezia. Le attività svolte hanno avuto un gran successoPensiamo di continuare il discorso anche l'anno prossimo visto la bella collaborazione avuta quest'anno con la Direttrice del Museo Palazzo Lanfranco, la Dottoressa Marta Ragozzini.

- Come si chiude il Festival e quali sono le prospettive future della vostra Associazione?

Il festival si chiuderà con una coda in febbraio (data) molto interessante con la presenza di una performance la cui ideazione è di uno degli artisti più importanti della scena mondiale, Jan Fabre, la performance s'intitola ATTENDS, ATTENDS, ATTENDS… (POUR MON PERE) con Cédric CHARRON.

Per quanto riguarda le prospettive future si tratta sicuramente di rafforzare il contatto con il pubblico, in modo particolare con un pubblico anagraficamente più "maturo" facendolo interagire con i più giovani. Poi rafforzare e ricercare collaborazioni nazionali ed internazionali per allargare l'orizzonte di scambi del festival. E come sempre pensare ad un concept che possa caratterizzare la nostra ricerca culturale intorno a cui fare ruotare gli eventi del festival. Il festival, pur se manterrà, la sua caratteristica di un work in progress, rispetto agli altri anni sarà concentrato in un periodo più ristretto. Ci saranno comunque come sempre novità tali da non farci adagiare sugli allori ma che ci permetteranno di vivificare il nostro lavoro.


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