giovedì 2 marzo 2017

dj Fabo e del volere morire

Io dico: "se io dovessi scegliere, sceglierei di morire".

Forse bisogna partire da sè (un sè non isolato comunque) per potere affrontare un argomento così significativo senza involgarirlo nella discussione pretestuosa religiosa o ideologica che sia. La questione della morte attraversa tutta la filosofia, quella del suicidio segna con più nettezza la differenza tra la filosofia antica e tardo antica e il cristianesimo che ha informato sotto molteplici aspetti la filosofia moderna e contemporanea. Sicuramente è con Hume che emerge una prospettive più autonoma, con un legame più esplicito con la filosofia antica, nel suo trattato sul suicido.

L'urgenza del momento e del tema mi spingono ad una sorte di "epoché" (sospensione) rispetto ad un'argomentazione ampia con i dovuti riferimenti storici filosofici, perché il pensiero si leghi all'immediatezza della cosa.

Una scelta come questa: "io voglio morire", mette in discussione sia l'intimo che la relazione con gli altri.

La questione decisiva è trovare il punto in cui l'esigenza del sè interrompe la decisone degli altri con me o su di me. Di cosa possiamo dire: appartiene a me solo a me?

Il condividere e il partecipare sono aspetti del vivere in comune. Si condividono, per esempio, nella vita di coppia la gioia e i dolori, ognuno si sente solidale con l'altro e si può vivere in profonda compartecipazione e compassione. La stessa società (in modalità diverse) ha la sua dimensione solidale e si prende cura dei suoi membri. Mette a disposizione risorse, mezzi e persone perché i più bisognosi non siano abbandonati nella necessità. Esistono obblighi nei confronti degli altri che in qualche modo ti hanno donato pezzi della loro esistenza. Si è se stessi per la relazione con gli altri. Io sono io perché posso rispecchiarmi negli altri che mi stanno di fronte.

La mia libertà, se con libertà s'intende la possibilità di manifestare la mia volontà, è intessuta dalla rete di relazioni affettive, storiche e sociali. Abbiamo sempre un qualche debito o una responsabilità nei confronti degli altri. In cosa dunque si deve esprimere e realizzare la mia libertà svincolata dagli altri e in cui il chiedere persino la collaborazione degli altri implichi la mia assoluta libertà?

L'assunto non può essere in primis teorico. Esso rivolge all'esistenza reale e guarda immediatamente a due estremi entro cui scorre la vita: la nascita e la morte. È su questi due estremi che il gioco e il "peso" della libertà si manifesta con maggiore evidenza. Sia l'una che l'altra giocano sulla imprevedibilità rispetto al mio essere o non essere. Nasco nell'assenza di una mia volontà e scelta. Il morire si presenta come massima certezza, infatti si deve morire.

La nascita implica la morte perché si abbia lo spazio della vita. Si vive per morire e la morte non si contrappone alla vita ma è solo l'opposto della nascita. È dentro lo spazio della vita che soffriamo, gioiamo, realizziamo o non realizziamo le nostre aspettative nell'intreccio con gli altri, cercando secondo gamme esistenziali diverse, di dare senso alla nostra vita nella disposizione delle possibilità che cogliamo o tralasciamo.

La vita nel limite della morte deve essere vissuta nella possibilità non nella impossibilità di essere vissuta il che sarebbe non vita.

Un caso estremo che, per esempio, può implicare strettamente la libertà e l'individuale è il dolore. Quel dolore che nessuno può esperire e che nessuno può o deve sopportare al posto mio perché ciò sarebbe una ingiustizia. Esso appartiene a me, solo a me, non è trasferibile, non è provabile dagli altri, neanche immaginabile nella sua dimensione fisica o psichica. Non ha funzione, non è differibile, ne tantomeno prelude ad una salvezza. Insiste nella sua ossessiva presenza che riempie di sé la mia esistenza, mentre preclude tutto il resto, espropriato di qualsiasi altra possibilità. È qui che avanza l'estrema decisione rispetto alla vita per me. Se in riferimento alla morte la vita assume il senso per me allora è mio compito decidere di non sottrarre la mia non vita alla morte. E se il dolore è il tutto io voglio il nulla. Io voglio morire.

Qui si manifesta lo spazio della libertà, da cui non si può prescindere.

La vicenda del Dj Fabo ci dice, da questo punto di vista, che voler sondare nel profondo degli altri risulta impossibile. Esiste un limite alla discrezionalità altrui. Esistono negli altri luoghi di "cecità" per noi che vanno rispettati profondamente. Il rischio è che nell'arroganza della nostra certezza ci si appropri della non vita degli altri come vita autentiche per loro. Quale abominio.

 

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