mercoledì 25 settembre 2019

Perché gli altri ci parlano?

Ecco le mie impressioni su
"Perhaps all the dragons"
lo spettacolo di Berlin visto a Potenza.

Con “Berlin” il gruppo belga, fondato da Bart Baele e Yves Degrys, il Città Cento Scale Festival in questa XI edizione mette a segno un altro punto nel segnalare  quanto di meglio e interessante che c’è in europa sulla scena teatrale contemporanea. 

È stato proposto ( 20-21 settembre) nello straordinario scenario di Tito zona industriale, “Perhaps all the dragons” uno delle ultime produzioni dei Berlin appartenente al loro 
ciclo, “Horror vacui”. 

La particolare istallazione teatrale è stata piazzata nel grande capannone della Metaltecno, produttrice di profilati di alluminio ora in disuso a causa della crisi. 
Lo spettacolo è in Italia solo a Milano (Triennale) e Potenza, Città Cento Scale Festival. 

I Berlin fanno interagire, con grande maestria, nelle loro produzioni vari linguaggi e vari media  a seconda delle situazioni. 
Qui protagonista in particolare è il video attraverso cui viene dipinta una variegata umanità d’individui provenienti da molteplici parti del mondo che hanno la possibilità d’incontrarsi, incontrare qualcuno che gli stia ad ascoltare e con cui interagire. 

Il titolo  è una citazione da “Lettere ad un giovane poeta n. 8” di R. M. Rilke in cui il poeta parlando al suo giovane interlocutore affronta gli abissi della solitudine, la sua sopportazione e il percorso di traformazione che induce l’incontro dell’altro inquietante che è in noi con un’immagine che richiama ad antichi miti: “Come potremmo dimenticare quei miti antichi che stanno all’inizio di tutti i popoli, i miti dei draghi che si trasformano, nell’attimo estremo, in principesse; forse tutti i draghi della nostra vita sono principesse che aspettano solo di vederci belli e coraggiosi. Forse tutto ciò che fa paura è solo disperato, e ha bisogno del nostro aiuto”
Essi ci appartengono e sono a noi tutti comuni e ciò ci rende solidali e fanno si di accettare il mondo con le sue inquietudini e di rivelarci agli altri. 
Si intuisce al di là dell’implicito richiamo della citazione che ai Berlin interessa l’incontro con l’alterità attraverso una semplice domanda:
Come ci poniamo di fronte agli altri, soprattutto quando gli altri si fanno avanti e raccontano la propria vita? 

È questo l’esperimento psicologico e sociale che i Berlin compiono con la loro istallazione teatrale, una sorta di nave, un po’ arca di Noè, che trasporta varie storie e varie tipologie umane. 

Una volta quando si viaggiava sul treno negli scompartimenti capitava spesso che qualcuno con spontaneità ti raccontava la propria vita, spinto dall’impulso a condividere una soddisfazione di lavoro o di studio, un dolore personale, un disagio, una gioia o un fallimento. 

Non sempre si era animati dalla volontà all’ascolto, si ovviava magari immergendosi nella lettura di un giornale o di un libro. 
La maggior parte delle volte si ascoltava ed empaticamente spesso si avvertiva la gioia o la sofferenza stabilendo immediatamente un grado di familiarità tale da salutarsi calorosamente alla discesa in stazione. 

Oggi tutto questo in treno è più difficile, concentrati come siamo sulle nostre faccende e i nostri strumenti tecnologici che mantengono la comunicazione sempre con un altrove, cerchie di relazioni che in apparenza sembrano più ampie ma che di fatto sono sempre più ristrette. 

Così ci accontentiamo di sapere degli altri attraverso i talk show, dove la vita viene emotivamente banalizzata e giocata su cliché e schemi da chiacchiera da bar o da parrucchiere o sui social ancora più esasperati nelle reazioni di antipatia o simpatia. 

È questo tipo di circuito che i Berlin hanno voluto spezzare. Idealmente ci hanno riportato su quel treno per incontrare da vicino persone che ti raccontano parte della loro vita lasciandi che i loro “dragoni” (e i nostri) vengano fuori.
I personaggi sono tanti e ogni spettatore secondo un calcolo si sposta fino ad interagire con cinque di essi. 

Stanno lì di fronte e man mano mentre raccontano si intravede dietro ognuno il loro mondo, aspetti della loro personalità, sollecitando antipatia o simpatia per le cose che dicono, per i giudizi che esprimono, per le inquietudini che suscitano perché magari scorgiamo in loro aspetto mancati o inaccettabili di noi stessi. 

Una nave, un po’ arca di Noè dicevamo, in cui nella finzione teatrale si può sperimentare che nonostante il mondo si sia smaterializzato per le nuove tecnologie, si può  ridefinire, invece, un’umanità non necessariamente priva della dovuta vicinanza. Infatti come insegna uno dei personaggi bastano sei mosse perché chiunque può essere collegato ad un altro. 

Il cortocircuito che l’istallazione e i personaggi creano sta un po’ nel ricreare l’atmosfera “treno”, in cui si incontro vari viaggiatori che pur provenienti da mondi diversi mettono qualcosa in comune.  

È possibile che proprio a partire delle singolarità, dalle peculiarità di ognuno si possa partire alla ricerca di ciò che ci accomuna nella fitta rete di interrelazioni in cui oggi viaggiamo. 

In fondo anche attraverso la tecnologia può essere possibile riscoprire la nostra umanità  negli altri per quanto imprevedibile e inquietante possa sembrare la realtà immersiva in cui viviamo, dove le barriere tra reale e virtuale sono abolite. 

La performance coglie il bersaglio sia per la messa in scena sia per le interiezioni create tra personaggi, pubblico e tra gli stessi partecipanti, anche con ironia e qualche imprevisto, che alla fine della performance sentono la necessità di scambiarsi o di scaricarsi delle storie a cui hanno assistito. 

Per informazioni più complete sullo spettacolo e Berlin ecco il link:

https://www.cittacentoscale.it/programma/teatro-2019/832-perhaps-all-the-dragons

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