Voglio condividere una bella avventura che mi è capitata
qualche giorno fa mentre ero seduto a prendere un caffè. Come è possibile
un’avventura seduto al bar? In genere le avventure sono legate ai viaggi, a
luoghi esotici, all’imprevisto, all’erotismo.
Diciamo che questa ha una particolarità, appartiene a quella
forma di eros di cui parla Platone nel Simposio, uno tra i più bei e
frequentati dialoghi del filosofo greco.
Mentre ero seduto in attesa del mio caffè, ho intravisto
arrivare un mio amico, Steve, che ho invitato a sedersi al mio tavolino. Lui mi
informa che sta arrivando anche Franco, amico in comune.
Steve lo incontro spesso in piazza e capita che ci beviamo
insieme un caffè. A dire il vero a lui piace il cappuccino, retaggio della sua
vita americana, infatti è nato e ha vissuto negli Stati Uniti, nel Quincy, fino
all’età di 17 anni. Il papà, che lavorava con una ditta di import export fu
trasferito in Italia con l’intera famiglia a Napoli per poi lui trovarsi a
Potenza come docente all’università dove insegna qualcosa che ha a che fare con
i sistemi informatici.
Porta gli occhiali piccoli e molto leggeri con la montatura
trasparente. I suoi occhi sono sul marrone chiaro e il naso leggermente
pronunciato. Una lieve e ben curata barbetta gli incornicia il mento e la
bocca.
Ma ecco Franco, alto sul metro e ottanta, pochi capelli e
anche lui con barbetta, bianca, meglio ancora caffellatte, come direbbe,
Nicola, il mio saggio e paradossale barbiere.
Franco insegna filosofia al liceo, ama la conversazione ed
ha una ampia cultura che spazia in vari campi umanistici e scientifici. Un suo
vezzo è la logica, ma non disdegna neanche l’inoltrarsi tra i sentieri
dell’arte, della letteratura e spettacolo.
I due amano molto discutere tra loro, confrontarsi su varie
tematiche. Quando li incontro sono contento, non solo per il piacere di
vederli, perché so che assisterò a qualcosa di interessante e per me
meraviglioso, nel senso di ciò che diceva Aristotele della meraviglia, la
quale, come nei bambini, ci fa andare alla ricerca del perché delle cose. E poi
hanno un modo di fare molto simpatico, senza risparmiarsi punzecchiature.
Bazzicano due ambiti di sapere spesso in discordia tra loro. Steve dice, per
punzecchiare l’altro, che i filosofemi non hanno senso. Mentre Franco, lo
chiamo lo scienziato presuntuoso che vuole ridurre tutto a formulette
matematiche, perdendosi il “gusto della vita”, per dire che il mondo e
l’esistenza sono molto più ampi di quanto sia nel potere della scienza
proferire.
Insomma cani e gatti, che però non solo sono molto amici e
rispettosi l’un dell’altro, ma molto curiosi l’uno del campo di conoscenze e di
studio dell’altro, il che non è che succeda così spesso. Mentre stavamo in
relax in silenzio, come capita in quei momenti in cui il corpo trova una sua
pacifica coesistenza con il mondo circostante contemplandolo beatamente, Franco
ha notato che Steve era particolarmente assorto. Mi ha guardato per chiedermi
spiegazioni. Gli ho fatto cavalluccio con le spalle sgranando gli occhi per sottolineare
la mia ignoranza.
Con delicatezza, ma anche con un sorriso leggermente
beffardo, Franco ha chiesto a Steve cosa gli frullasse per la testa. Steve ha
alzato lo sguardo accennando ad un sorriso “Sai - ha detto - questa mattina mi
sento a volte come un piccolo demonietto cartesiano altre come un serioso
signor Freud. La cosa non mi tranquillizza. Capita che dei giorni si esce con
un po’ di confusione in testa”.
“Spero nulla di grave e che possa impedirti, se non sono
indiscreto, di dirci cosa ti sta succedendo. Così ti faccio, magari da
neuroscienziato con tanti neuroni specchio - risponde Franco sorridendo e
agitando a sfottò le dita della mano davanti ai suoi occhi”.
E Steve, incomincia a fare un discorso che io seguo ma che
non sempre afferro. Come se volesse fare un viaggio molto profondo e analitico
nella sua mente.
“Mi sono sempre chiesto - riprende Steve con gli occhi
stretti e le mani congiunte davanti alla bocca- perché faccio fatica a
ricordare il mio passato. Ho tentato persino una risposta di tipo neurologico
per delle conformazioni particolari del mio cervello. Anche se i dottori mi
hanno rassicurato che ciò che a me appare un difetto congenito è presente in
una discreta quantità di uomini e donne e che il nostro cervello è molto plastico
per cui non dovrei avere nessun problema. A volte ho l’impressione che la mia
memoria sia come sezionata in vari strati e ogni strato è separato dall’altro,
pur se procedono contemporaneamente”.
“Sei alla presa con il tuo flusso di coscienza - lo incalza
Franco e con tono di chi la sa lunga- Stai facendo un lavoro d’introspezione
sulla tua memoria e cosa hai scoperto?” …
Mi fermo perché voglio riportare quanto più possibile parola
per parola il dialogo che da qui i due hanno intrapreso. L’ho trascritto e se
siete interessati - ma vale veramente la pena leggerlo – lo trovate qui a
seguire (in colore rosso).
Adesso mi limito a volervi fare partecipe dell’atmosfera che
ho vissuto e del fascino intellettuale del loro dialogo. Insomma ho assistito
ad una vera e propria disputa intorno, pensate un po’, al concetto di libertà o
meglio per essere preciso, su il libero arbitrio, attraversando mondi
scientifici e filosofici che hanno acceso la mia fantasia e ravvivata la mia
sopita curiosità.
Tutta la discussione verteva sul rapporto tra mente e
cervello, soggetto e mondo, sapere scientifico e filosofico. Parole che gettate
così alla rinfusa non dicono niente, ma che invece acquisiscono valore se viste
entro l’esplicarsi di un tema.
Tra loro si è aperta una serrata dialettica sulla libertà,
la coscienza e l’autocoscienza. Cioè come si può ben capire argomenti che hanno
sempre avuto un significato filosofico e che invece oggi sono trattati anche
dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze, che si occupano della nostra
mente e del cervello e di che rapporto esiste tra loro. Il punto focale della
discussione - tra lunga scorribanda nella filosofia e nelle ricerche e ipotesi
scientifiche - è stato quanto in effetti lo studio del cervello può dirci su
ciò che appartiene così profondamente al nostro modo di sentire ed essere, alla
nostra cultura, al campo del nostro agire nei confronti degli altri.
Da profano quale sono, la loro discussione mi ha fatto
immaginare robot con nella testa spiritelli, o cervelli da cui emergevano
vapori senzienti e pensanti. Se non addirittura scienziati un po’ pazzi o buffi
come appaiono nei cartoni animati e per altri versi ho immaginato rivoluzionari
francesi lanciarsi nella rivolta al grido di liberté, égalité, fraternité.
Sto un po’ esagerando nel volere colorare la situazione e mi
sto un po’ sottovalutando solo per dire che l’argomento è ricco di suggestioni,
e che per me non sempre è stato facile capire tutti i passaggi della
discussione, restando molte volte perplesso rispetto a certi ragionamenti o ipotesi.
E poi - dico la verità - è scattato di riflesso un po’ di
scetticismo per il tanto sentire parlare di neuroscienze. A seguire i mezzi di
comunicazione sembra che abbiano la spiegazione per qualsiasi nostra emozione,
percezione, o nostro sentimento o ragionamento, comportamento e fenomeno
sociale. Di fatto non è così. Gli scienziati manifestano molta cautela,
invitano a non generalizzare ed enfatizzare troppo i risultati delle ricerche e
delle ipotesi scientifiche.
Confesso anche che pensare ad alcune caratteristiche, che ci
qualificano come essere umani quali la libertà, come solo un prodotto
fisico-chimico o di interazioni di neuroni localizzati e visualizzati nel
cervello mi dà un po’ di sconcerto. Lo stesso vale per come vengono descritti
le emozioni, il flusso della nostra coscienza, il senso del sé e ci mettiamo
anche l’inconscio. E poi perché bisogna “perdere” l’anima, la fantasia,
l’intuizione?
Lo so, le mie sono domande ed osservazioni ingenue.
Sicuramente Franco e Steve mi avrebbero preso in giro se le avessi formulato a
loro in questo modo.
Ben più articolata è stata la loro discussione. Io ho
capito, che esistono livelli diversi di ricerche, che la scoperta del
funzionamento del cervello è cresciuta, ma ancora c’è un infinito universo da
scoprire e che c’è ancora bisogno della filosofia. Ho anche notato che le
posizioni estreme e incompatibili da una parte e l’altra stanno lasciando il
posto a posizioni più “compatibiliste”. Insomma si prospetta sempre di più la
necessità, se si vuole dare risposte alle cose di cui accennavo, di lavorare in
modo più interdisciplinare, nel senso, per dirla con la vulgata, di fare
interagire la scienza con le scienze umane. Questo sia per capire le
possibilità di collaborazione, sia per capire i limiti dell’una nei confronti
dell’altra.
Mi dispiace non essere in grado di sintetizzare quanto i
miei amici si sono detti. Ma come accennavo se siete curiosi, e vi assicuro che
ne vale la pena, potete trovare la trascrizione di gran parte del loro
interessante dialogo qui di seguiti a partire da dove l’abbiamo lasciato.
Dipende da voi, siete liberi di scegliere (?).
Continuazione dialogo
S = Steve F = Franco
F_ Sei alla presa con il tuo flusso di coscienza. Stai facendo un lavoro d’introspezione sulla tua memoria e cosa “hai scoperto”?
S_ Sto viaggiando tra passato e
presente con velocità della luce e nello stesso tempo mi è difficile
soffermarmi su qualcosa per poterla isolare del tutto.
F_ Scusami ma non capisco, non
riesco a visualizzare quello che dici.
S_ Mi accadono anche fenomeni
strani. Mi capita di recuperare un particolare ricordo e lo rivivo con nessuna
patina di nostalgia. Uno spaccato di me stesso nel passato riesumato come da un
congelatore e scongelato per un po’. Così mi posso ritrovare in qualche
episodio della mia infanzia o in altri più recenti. Essi mi compaiono nitidi e
anche intensi ma come se io li guardassi dall’alto come in volo, però non
riesco mai a bloccarli per poterli analizzare nella loro peculiarità.
F_ Se dovessi dirti la mia
sensazione, mi sembra che tu cerchi una forma di oggettivazione, un punto di
vista da cui i tuoi ricordi possano apparire come oggetti da analizzare
S_ Mi piacerebbe agire come qualcuno
che usa un visore per muoversi entro un ambiente virtuale. Oggi vi sono
dispositivi che creano effetti molto realistici tridimensionali entro cui ti
muovi sino a cogliere distanze, dettagli, vicinanze e lontananze sfumature di
suoni e colori.
F_ Quello che ti sta capitando ci
mette difronte al problema della nostra coscienza e come essa ci appare nel suo
flusso di ricordi, sensazioni, percezioni, stati mentali. Noto che il tuo
sforzo di oggettivazione ti sta mettendo molto in difficoltà. Sono argomenti
questi che uno scienziato ha difficoltà a maneggiare. Il campo filosofico ne è
più avvezzo.
S_ Ho l’impressione che stai
alludendo a qualcosa e scommetto che centra la filosofia.
F_ Il mio sapere filosofico è molto
limitato. E penso che tutto l’argomento viva di molte incertezze sia in ambito
filosofico che scientifico. Ancora qualche domanda e poi mi rivelo. Ma dimmi in
realtà tu come ti senti?
S_ Mi sento come un essere senziente
e pensante con tutte le facoltà
F_ Pure io posso dire di essere un
essere senziente e pensante. Devi ammettere, però, che è difficile
(impossibile) poter avvertire ciò che sente un altro. Cioè non posso “mettermi”
nella tua testa.
S_ Infatti se volessimo tenere
coerente questo discorso potremmo anche dire che tu protesti non esistere per
quanto mi riguarda, sei solo un qualcosa nella mia mente. Di questo sono
sicuro, del resto meno.
F_ Paradossalmente anche tu potresti
essere l’illusione di una dispositivo proiettivo, tanto per riferirci al
demonietto di Cartesio, qualcosa nella tua testa che ti fa vedere e sentire
quello che senti e pensi.
S_ Anche se Cartesio ha voluto con
il mettere in dubbio le “mie” sensazioni raggiungere quella certezza che ci permette
di asserire: penso dunque sono … Ah!
ecco la trappola mi hai portato dentro il campo filosofico
F_ Non te la prendere sai che ormai
esistono campi di confine in cui scienza e filosofia o se la combattono o
cercano alleanze. Mi riferisco in particolare alle scienze cognitive e alla
neuroscienza che si occupano di mente e comportamenti.
S_ Già e poiché siamo partiti dalla
coscienza il richiamo a Cartesio è sembrato d’obbligo, visto che, tra l’altro,
è un matematico, scienziato e uno dei primi filosofi della modernità
(1596-1650).
F_ Certo i grandi problemi che la
sua filosofia ha posto nel pensare all’esistenza di due sostanze
qualitativamente diverse, che lui chiama pensiero ed estensione.
Cartesio mette al centro della sua
filosofia la mente, che poi non è altro che il nostro io. Parla di pensiero,
inteso sia in riferimento ai contenuti mentali (idee, le chiama lui, che sono
le nostre sensazioni, percezioni, ricordi, emozioni, ragionamenti ed altro),
che alla coscienza e autocoscienza, come consapevolezza del nostro pensare e
sentire. A ciò si contrappone la sostanza estesa, che qualifica il mondo nella
sua fisicità e che può essere descritta dalla matematica e dalla scienza, che
cerca le cause egli effetti che caratterizzano i fenomeni. Per Cartesio questo
mondo è deterministico, i rapporti di causa ed effetto sono necessari e
consequenziali.
In tal modo egli pone un dualismo
inconciliabile tra il mondo del pensiero e il mondo dell’estensione, che lo si
può declinare anche come “spirito e materia”, “anima e corpo”, che sarà il
cruccio di tanti filosofi e scienziati in particolare oggi nell’ambito delle
scienze cognitive e nelle neuroscienze.
Per semplificare la concezione di
Cartesio possiamo immaginare, quando parliamo di noi, il nostro corpo come un
automa sottoposto alle leggi deterministiche della scienza, mentre il nostro io
(anima o mente) come qualcosa non dominato dalle leggi della natura. È un mondo
a parte, ma ha la capacità di guidarlo come un fantasma che lo abita.
Se diamo retta a Cartesio dobbiamo
constatare che Io che penso, non posso uscire dalla mia dimensione soggettiva.
Io posso coglierla “i miei pensieri” solo in una esperienza diretta, mentre mi
appare come fenomeno e nello stesso tempo io sono fenomeno a me stesso. Tutto
ciò è difficilmente conciliabile con un sapere che si occupa dei corpi come la
scienza, che cerca leggi deterministiche, basate sul necessario rapporto di
causa ed effetto.
S_ Se ci penso Galileo Galilei, per
designare il compito della scienza suddivide le sensazioni in primarie e
secondarie. Le secondarie, (come odori, colori, gusto …) non possono essere
misurabili (quantificate) mentre le sensazioni primarie (peso, forma, movimento
...) possono essere quantificate e attraverso la misurazione trovare le leggi
che sottendono i fenomeni.
F_ La misurazione sta alla base
della determinazione delle leggi che governano il mondo. Il resto appartiene al
mondo del soggetto. Per dirla retoricamente Cartesio ponendo il dualismo mente
– corpo, salva l’anima (cioè la libertà e volontà dell’uomo). Nello stesso
tempo però pone il grande problema di come possono relazionarsi sostanze così
diverse tra di loro. Per esempio come può la mia mente dire ai muscoli della
mia mano di aprirsi. Se la prima è cosa assolutamente diversa dall’altra.
S_ Già. L’errore di Cartesio ha
detto qualcuno, cercando di recuperare l’idea di una unica sostanza, sulla
falsariga dell’estimatore avversario di Cartesio, il signor Spinoza.
F_ Ecco ci siamo questo è il mio
“gancio” per coinvolgerti a discutere sul rapporto tra scienza e filosofia.
Infatti il problema del dualismo è una delle questioni delle scienze cognitive
e delle neuroscienze. Il problema nasce dal verificare se è possibile superare
questo dualismo Questa indicazione è colta dalle attuali neuroscienze che
vogliono eliminare la divaricazione mente-corpo e che ritengono che lo studio
del sistema nervoso centrale (il cervello inserito nell’organismo) possa darci
spiegazione anche dei fenomeni che chiamiamo mentali, compreso la memoria
S_ E qui ritorniamo a me. Al mio dilemma
a come spiegare la mia memoria
F_ Non prendertela per quello che ti
dirò. So che mi comprenderai e che io sto solo elaborando una teoria. Nulla che
abbia certezza filosofica o scientifica. Io credo che nella descrizione che hai
fatto ti sei lasciato influenzare dal tuo lavoro. Non ho capito bene se stavi
parlando di una macchina o di un essere umano.
S_ Macchina mi sembra un po’
esageratamente vintage, visto il fior fiore d’intelligenza artificiale che c’è
in giro.
F_ Perché ritieni che l’Intelligenza
artificiale possono essere paragonate all’essere umano?
S_ Non saprei definire precisamente
un essere umano, per cosa esso si caratterizza. Per l’intelligenza? Se è così
molti dei compiti intellettivi degli esseri umani sono in grado di essere
svolti da una intelligenza artificiale (il riferimento classico è agli
scacchi). Per il fatto che gli esseri umani apprendono? Mi sembra che alcune di
esse si basano sull’apprendimento. E il progresso in tal senso è evidente.
Adesso alcune sono molto evolute anche dal punto di vista del linguaggio
“naturale” e conversano facilmente. Qualcuno attesta che sul punto di superare il test di Turing, che consiste
nel non sapere se in una conversazione con un “dispositivo” sia in realtà un
essere umano o una macchina (intelligenza artificiale). Se il test asserisce
che dall’altra parte c’è un essere umano, ma in realtà c’è una macchina, vuol
dire che ci è impossibile fare una differenza tra un essere umano e una
macchina.
F_ C’è qualcosa che non mi convince
nel tuo ragionamento. Ora che una macchina sia programmata a parlare, anche
auto-apprendendo, sulla scorta di parole e modi di dire che gli forniamo anche
tramite algoritmi sofisticati è concepibile. Si tratta di capire fino a che
punto essa non solo fa ma capisce ciò che dice e fa.
S_ Comunque molti hanno inteso il
cervello come una “macchina computazionale” molto sofisticata. Oggi le neuro
scienze ci dicono molto sui nostri comportamenti a partire dal funzionamento
del cervello. Studiano il cervello per parlarci dei nostri stati mentali.
F_ Ti propongo una disamina rispetto
alla possibilità di capire qual è il rapporto tra mente e cervello a partire da
una questione che ha e avuto una grande importanza filosofica e che è diventato
anche banco di prova della ricerca e della discussione nelle scienze cognitive
che si occupano della mente e dei neuroscienziati.
S_ Ecco l’insidia del filosofo. Io
già so dove vuoi arrivare. Vuoi parlare della coscienza e autocoscienza per
mettere alla prova in particolare le neuroscienze.
F_ Uno dei problemi grossi che ci siamo
trovati - l’abbiamo visto con Cartesio (pur se è molto antico nella filosofia)
riguarda le due sostanze, quella pensante (cioè l’io) e quella estesa cioè la
realtà dei corpi, degli oggetti e del mondo che ci circonda. Mentre la seconda
può essere compresa secondo le leggi della scienza, che sono deterministiche,
l’io esula dalla comprensione scientifica, né può essere soggetto alle leggi
scientifiche aprendo in tal modo, come già si diceva, grandi problemi nel
rapporto tra coscienza, autocoscienza, volontà e libertà e il determinismo che
agisce nel mondo delle cose.
S_ È materia un po’ scivolosa e
difficilmente trova una risoluzione completa sia in ambito filosofico che
scientifico. Gli scienziati più “duri”, dicono che le cose che tu hai messo in
ballo (coscienza, autocoscienza, libertà) sono solo parole “filosofiche” che in
fondo non hanno realtà. Per esempio neuroscienziati “molto riduzionistici”
pensano che solo lo studio del cervello secondo le leggi della scienza porterà
a spiegare ciò che chiamiamo stati mentali e i nostri comportamenti. Altri pure
se mantengono una specie di dualismo tra mente e cervello hanno, comunque, una
tendenza “riduzionista”.
F_ Possiamo tentare una disamina
tenendo in conto sia le esigenze della filosofia che della scienza. Vediamo
cosa ne viene fuori. Io propongo come tema la questione della libertà, o se
vogliamo essere più precisi del “libero arbitrio” che ha una lunga tradizione
di dispute filosofiche e teologiche (le seconde ci interessano di meno in
questo contesto).
S_ Dovremmo circoscrivere il
concetto e poi non possiamo approfondire nel dettaglio le questioni
scientifiche.
F_ Certo. Evidenziamo quali sono
alcuni problemi che il libero arbitrio pone e cerchiamo di capire la ricerca
filosofico-scientifica dove ci porta.
Partirei da questa definizione di
libero arbitrio: capacità di decidere con consapevolezza secondo la propria
volontà. La condizione è che se scelgo qualcosa è perché ho possibilità di
scelta e devo avere la possibilità di scegliere secondo la mia volontà. In
altri termini la scelta che faccio è una scelta consapevole (rientra
nell’ambito della mia autocoscienza).
Questo pone una domanda rispetto alle cose che abbiamo detto in precedenza: determinismo e libertà possono essere compatibili? Se facciamo riferimento alla tradizione filosofica s’intende per determinismo: ogni azione è determinata da un rapporto di causa ed effetto ciò vale per tutta la realtà. Lasciamo stare l’antichità (il problema era già discusso dai filosofi detti atomisti, come attestato nel De rerum natura di Lucrezio) per richiamare il determinista per eccellenza lo scienziato Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) bisogna dire che i fenomeni del mondo naturale sono legati tra loro da precisi rapporti di causa-effetto. Da questa concezione scaturisce il carattere di assoluta prevedibilità di ogni teoria scientifica, la quale enuncia leggi corrispondenti a un comportamento ineluttabile degli oggetti fisici. Laplace dice che la nostra ignoranza non ci permette di vedere l’insieme delle cause e degli effetti che agiscono nell’universo, lasciandoci immaginare cause finali o il caso. “Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse così vasta da sottoporre questi dati all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e quelli del più lieve atomo: nulla sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." (P.S. Laplace, "Saggio sulle probabilità"_ 1814)
Al contrario la libertà si caratterizza proprio per essere svincolata dall’essere conseguenza di una causa. Infatti se io dico mi va di bere un caffè, lo prendo e lo bevo.
Problemi: se non c’è rapporto tra
realtà “fisica” e volontà allora penso come Cartesio. Vi sono due sostanze, ciò
un corpo (automa) sottoposto a determinismo, governato da uno “spirito-spettro
dentro al corpo”.
S_
Come si diceva è difficile porre in relazioni le due sostanze. D’altronde è
strano però che ad una realtà attribuiamo della causa e non ci chiediamo se
l’altra abbia le sue cause, se pure essa opera in termini di causa ed effetto.
In tal modo resta indefinita una delle due, a cui aprioristicamente assegniamo
la nostra idea di libertà che andrebbe spiegata, ma che a sua volta produce
degli effetti sull’altra aprendo il ciclo delle cause e degli effetti. Si
avrebbe il paradossa che una crea liberamente, su un mondo che dovrebbe essere
determinato. Qualcuno, malignosetto, potrebbe suggerire se qui non siamo alla
presenza di quella ignoranza di cui parlava Laplace.
F_ Alcuni, diciamo i “libertari” più
“anarchici”, dicono che nella realtà vi è l’indeterminazione e il caso e ciò
porterebbe a presupporre la libertà. Però se attestiamo l’indeterminismo e il
caso, ciò contraddice l’idea di libertà che abbiamo definito precedentemente,
caratterizzata da volontà e autodeterminazione. E nello stesso tempo una mia
decisione produce degli effetti.
È anche evidente come una
discussione del genere non ha un valore solo teorico ma coinvolge molto le
questioni pratiche che riguardano per esempio l’etica e il diritto.
S_ Quindi se consideriamo la
tradizione filosofica vi è una contrapposizione, una incompatibilità, fra i cosiddetti “deterministi” e i “libertari”. I
primi attestano che non esiste il libero arbitrio, tutto è “determinato
necessariamente” da una catena di cause ed effetti e che la libertà
fondamentalmente sia una illusione. I secondi, invece, insistono sul requisito
della libertà metafisica contro causale come presupposto filosofico
irrinunciabile della responsabilità morale e giuridica.
F_ Dirò di più. La discussione si è
incentrata tradizionalmente su alcuni importanti aspetti: una di carattere fondamentale,
cioè se il libero arbitrio esiste o meno; uno di carattere più pratico se il
libero arbitrio non esiste, su quali concetti si può fondare il giudizio di
responsabilità morale (e di conseguenza anche quello giuridico)?
S_ Questa discussione la possiamo
ritrovare entro l’ambito delle scienze cognitive e delle neuroscienze, che
cercano di stabilire l’esistenza di stati mentali e neurologici che ci indicano
il “luogo” della coscienza e della libertà nel cervello correlato alla mente.
Oppure al contrario se il libero arbitrio così come è stato pensato fino ad
adesso può essere messo da parte, o se esso invece può avere una certa
funzione, che per il momento chiamiamo pratica.
F_ Belle potete bollenti da
maneggiare con cura.
S_ La cosa interessante è che
nell’ambito delle neuroscienze si è aperta una discussione circa la possibilità
di conciliare i due fronti contrapposti i deterministi e i “libertari”. Si è
aperta, paradossalmente all’apparenza, una possibilità che viene indicata con
il termine compatibilismo secondo cui
l’affermazione del principio di causazione universale (determinismo) non
inciderebbe affatto sullo status morale degli esseri umani.
Si cerca di ridefinire in parte i
termini in questione, che limitano l’idea di “libertà assoluta” a favore
dell’esistenza di “margini di libertà”. Secondo queste concezioni esistono
impulsi e desideri determinati da leggi di natura che agiscono su di noi, verso
cui noi potremmo disporre di un potere di veto. Questa forma di compatibilismo pone una nuova relazione
tra volere e fare. L’uomo sarebbe libero di fare
o non fare quello che vorrebbe,
ma non è libero di volere, poiché è
privato totalmente (o parzialmente) di un potere di controllo sulle proprie
volizioni, intese come puri stati mentali, che sono il frutto meccanico della
propria condizione biologica.
F_ Se ho ben capito il compatibilismo di cui tu parli cerca di
dare una differente definizione di libero arbitrio, dove a prevalere non è una
forma di libertà assoluta (faccio quello che voglio, oppure faccio quello che
posso di fronte a degli ostacoli) ma introduce “un substrato inconscio” che mi
mette nella condizione di potere porre (solo) un veto. Diamine interessante!
L’inconscio nelle neuroscienze. Si adopera un linguaggio che fino a questo
momento è usato in modo specifico solo nella psicoanalisi. Cioè si parla di
meccanismi inconsci.
S_ Attenzione a non sovrapporre in
modo improprio i due concetti, anche se si possono trovare somiglianze. A tale
proposito risulta interessante la discussione che si è aperta intorno agli
esperimenti del neurobiologo Benjamin Libet che sembra abbia dimostrato che il
processo che conduce ad una azione volontaria inizia inconsciamente, a livello
neurologico, ben prima che la persona ne sia consapevole e che gli atti
coscienti volontari siano solo l’epilogo di processi neurologici inconsapevoli.
Sembrerebbe cioè aver sconfessato l’idea del libero arbitrio come volontà
cosciente.
F_ Si dovrebbe pensare a una cosa
del genere cioè che qualche istante prima che io dia il volontario ordine alla
mia mano di alzarsi, “inconsciamente” circuiti celebrali hanno già dato
l’ordine?
S_ In breve, Libet chiedeva ai suoi
pazienti di dire quando avevano deciso di muovere il braccio, ritenendo
evidentemente che una coscienza puntuale fosse necessaria a dare carattere di
volontarietà e personalità persino ad un’azione così insignificante. In verità,
i suoi esperimenti hanno individuato «una lacuna temporale» tra un’onda di
attività chiaramente visibile nel cervello dei suoi soggetti, nota come potenziale di prontezza, e il
successivo istante della “decisione cosciente” da loro dichiarato. La ricerca,
i risultati e la discussione è facilmente reperibile su internet.
F_ Se ho ben capito, grazie anche
alle tecniche di neuroimaging, l’osservazione empirica dei processi cerebrali
avrebbe dimostrato che la volontà cosciente non causa affatto la decisione,
così come si è sempre creduto. Sembrerebbe, quindi, che l’idea filosofica
classica del libero arbitrio, secondo cui un essere umano deve essere in grado
di cambiare la direzione della decisione in ogni istante secondo il proprio
volere, grazie a prove scientifiche abbia solo una natura illusoria.
S_ Non arriviamo a conclusioni
drastiche. Come dicevo la discussione è ampia. Gli esperimenti hanno messo alla
prova una definizione filosofica di libertà, che ha anche strutturato
l’esperimento. L’indagine attesta che l’attività cosciente più che dare inizio
ad un’attività che porta ad un certo comportamento eserciti una funzione
censoria, se dare corso, o interrompere, o impedendo il decorso a quanto
neurologicamente predisposto inconsciamente. Per dirla in termini più
spiccioli, in genere si presuppone che prima avviene la decisione e
immediatamente dopo l’azione. Da questi esperimenti sembrerebbe che accadrebbe
l’opposto, agiscono prima gli “impulsi inconsapevoli” e poi la decisione
consapevole.
Sull’attività inconscia ci sono
state altre ricerche interessanti, così come è diventato sempre più evidente
l’importanza della funzione celebrale in correlazione all’intero corpo e anche
dell’ambiente. Questa continuo allargamento delle prospettive ha nello stesso
tempo ampliato la conoscenza del nostro cervello ma ne ha ampliato anche l’orizzonte,
complicando ulteriormente la situazione.
F_ Vuoi dire che bisogna stare
attenti alle eccessive generalizzazioni. Molte cose non hanno né teorie né
dimostrazioni sperimentali definitive.
S_ Certamente. Anche se bisogna dire
che le ipotesi sono importanti per il discorso scientifico. Per riprendere il
nostro discorso rispetto al concetto di “libertà” in cui abbiamo visto
subentrare l’inconscio, il corpo-cervello l’ambiente l’idea compatibilista ha trovato un’altra
diramazione interessante.
Alcuni neuroscienziati ritengono che
non sia necessario scegliere contrapponendo meccanicismo determinista e libertà
ma che si possa affermare l’idea di responsabilità senza assumere una posizione
determinista. Mettono in campo una certa idea di esperienza soggettiva.
F_ Aspetta un attimo! Stai dicendo,
dunque, che la libertà può essere compatibile con il determinismo. Mi sembra
paradossale. Ti faccio notare, inoltre, che all’inizio della nostra
conversazione un elemento di distinzione tra il mio modo di concepire la coscienza
e il tuo era basato sulla impossibilità di riportare l’esperienza soggettiva
(il flusso di coscienza che esperisco solo io, o solo tu) entro una descrizione
scientifica.
S_ Calma, cerchiamo di capire di
quale tipo d’esperienza si parla, facendo riferimento a quello che si dicevo
prima. Essi si esprimono in questo modo: ci può essere compatibilità tra
responsabilità e determinismo perché pure essendo la libertà una sensazione
fenomenologica, percepibile soggettivamente, ha una sua importanza e funzione.
Essa appartiene alla dimensione del soggetto e come tale è percepita, mentre il
determinismo caratterizza il mondo scientificamente.
F_ Cioè stai dicendo che essi
valorizzano ciò che possiamo dire essere un “sentimento”, il sentirsi liberi,
per dire che in questo modo la libertà esiste?
S_
Diciamola così. A noi sembra che le
nostre decisioni siano prese in anticipo, che attivino dei processi cerebrali
la cui conseguenza è l’azione volontaria; attribuiamo la maggior parte delle
nostre azioni ai pensieri che precedono l’atto e che spiegano le nostre azioni;
siamo convinti che gli individui abbiano il dominio delle loro azioni e siano
liberi nelle loro decisioni; siamo persino convinti che questa autorità possa
essere esercitata anche sulle altre persone, condizionandone le decisioni. Però
si pone una domanda?
F_ Ecco si affaccia il mistero.
Sento che il tuo discorso abbia un non se che di Schopenhauer, che
contrapponeva alla rappresentazione la volontà. Come il mondo appare a noi non
è altro che frutto della volontà che agisce inconsciamente. Mi sembrava che la
cosa potesse essere complessa! Io ho anche altre domande comunque.
S_ Suggestiva la tua osservazione ma
andrebbe maggiormente verificata in riferimento al determinismo, almeno come
l’abbiamo definito fino a questo momento. Diciamola in quest’altro modo:
ammettiamo che questa attività mentale, cioè la libertà, non sia sottoposto
alle “leggi” del cervello -corpo, “che fosse davvero così scollata e
indipendente dall’effettiva catena di cause che collegano il corpo ed il
cervello del soggetto alle proprie azioni, se fosse un meccanismo così
stravagante, sofisticato e astratto, allora perché esiste in natura?
F_ Ecco che si affaccia lo zampino
del neurobiologo.
S_ la volontà libera la possiamo
considerare un tipo particolare di emozione. In genere le emozioni sono
collegate ad uno stato del corpo, che ci informa su uno stato del mondo (pensa
alla paura). Quest’altro tipo di emozione ci fa essere nel mondo, ci fa sentire
come portatori di potenzialità e limiti, ci mette di fronte alle
responsabilità, a stabilire ciò che è dentro di noi da ciò che è fuori di noi.
F_ Non mi è ancora chiaro quello che
dici
S_ Facciamo un esempio. Sollevo un
braccio. Io l’avverto come un’azione soggettiva. Essa è vera perché provoca una
serie di reazioni biologiche e di azioni sulla realtà.
Diciamola anche così. Il senso di
paternità delle nostre azioni, il sentirsi agenti liberi dotati di una volontà
svolge un ruolo importante nell’esistenza di ognuno di noi. In questo senso la
discussione “più filosofica” sulla predeterminazione della volontà perde
significato.
F_ Credo che dietro quello che dici
si affacci lo zampino dell’evoluzionista.
S_ Sì, è evidente che c’è in questo
della biologia, diciamo allargata. Questa “sensazione” è così importante che se
perdiamo cognizione della nostra consapevolezza e libertà di agire possono
esserci delle conseguenze psicopatologiche come la depersonalizzazione in
riferimento al Sé con una serie di comportamenti inadeguati.
F_ Comunque la mia impressione è che
la cosa sia tirata un po’ per i capelli. Far comparire una specie di un
illusorio doppio interiore per mantenersi entro uno schema deterministico anche
se più soft. Invece di semplificare mi sembra che si sia complicata la
questione.
Il concetto di Sé è stato nel corso
del tempo oggetto di riflessione all’interno di diversi approcci teorici e
applicativi.
S_ Alcune ricerche interdisciplinari
stanno cercando di evidenziare come il cervello si struttura in correlazione
alla costruzione del Sé attraverso l’integrazione di fattori biologici e
psicosociali, che sono aspetti fondamentali nella vita delle persone. Vengono
messi in rilievo la plasticità del concetto di Sé e l’adattamento del cervello
in relazione all’ambiente.
Si ipotizza che l’esperienza del Sé,
con i correlati di libertà, consapevolezza siano indispensabili pure se
partiamo da concezioni deterministiche
F_ Siamo ad un punto cruciale della
nostra discussione ma non assolutamente conclusivo. Siamo giunti al sé, siamo
di fronte alla coscienza e sembra ancora essere un mistero.
S_ Si è vero quello che dicevo è un
tracciato di ricerca, che come vedi pone in sé non solo interrogativi
scientifici ma anche filosofici.
F_ Infatti per dirla con una battuta
non c’è nessuna evidenza da neuroimaging che ci fa “vedere” la coscienza o
addirittura l’autocoscienza nel cervello. Si apre un discorso molto complesso,
dentro una scienza in cui la complessità la fa da padrone.
S_ Sono spiegazioni provvisorie,
ipotesi che a volte sono molto suggestive, ma che rendono anche delle impasse
in cui si trovano le neuroscienze.
Al
di là della plausibilità delle ipotesi. Indica quanto sia lungo il cammino da
compiere. Certo io sono uno scienziato e, per quanto mi riguarda, il
“linguaggio” che bisogna sviluppare è quello della scienza.
In fondo, nonostante tutto ci
troviamo difronte ad una bella dissonanza cognitiva che crea incertezza in
ciascuno di noi. Da una parte avverto che non posso fare a meno della libertà e
in fondo mi è difficile immaginare un mondo senza essa. Dall’altro devo
“constatare” da scienziato che lo stesso mondo è deterministico. Un continuo
oscillare.
F_ È così! D’altronde immagina quali
possono essere le conseguenze in ambito morale e giuridico se si affermasse il
determinismo nella percezione comune rispetto al discorso sulla responsabilità.
Quale senso per esempio assumerebbe il discorso sulla pena in ambito giuridico?
So che ci sono discussioni in atto e che alcuni cercano di ridefinire i
concetti di responsabilità e pena con una visione più determinista, aprendo
chiaramente anche grandi dilemmi sociali sulle conseguenze.
S_ Inoltre si discute tra scienziati
e filosofi se in qualche modo non bisogna cambiare paradigma di approccio alla
ricerca per potere affrontare questioni riguardanti il discorso della libertà e
della coscienza senza abbandonare criteri di scientificità. Ho sentito il
professore Giuseppe Trautteur (che si occupa tra l’altro di algoritmi
evolutivi, reti neurali) affermare (provocatoriamente?) che forse per rimettere
un po’ in ballo tutto bisogna ritornare alla struttura profonda dell’universo,
a come è fatta la materia. Si pensa in
genere che sappiamo tutto della materia e che la coscienza è oscura. Dal suo
punto di vista sia la coscienza che la materia sono altrettante oscure e quindi
il problema per il momento è insoluto. Molte di queste cose sono contenute nel
suo libro Il prigioniero libero
(Adelphi 2020).
“Se
la mente, tramite il cervello, ha la facoltà di indirizzare il corso
dell’Universo in una specifica direzione tra due o più direzioni ipoteticamente
possibili, ciò significa che occorre rivedere cos’è una legge di natura. Se il
cervello è un meccanismo operante secondo le leggi di natura come le conosciamo,
la mente -la coscienza- è bloccata ad essere un mero astante dell’accadere
delle azioni del soggetto e della totalità della storia umana. È questa
l'impasse del libero arbitrio” (Giuseppe Trautteur)
Accontentiamoci di questa incertezza
per il nostro vivere.
F_
Qualche anno fa il filosofo David Chalmers autore de La mente cosciente (1996) e tra i protagonisti della ricerca
interdisciplinare sulla coscienza, ha suggerito che per affrontare le questioni
della coscienza bisogna introdurre idee radicali nella scienza per superare la
dicotomia oggettivo (scienza), soggettivo (coscienza).
Il lavoro della neuroscienza -
afferma Chalmers - risponde ad alcune delle domande riguardanti su cosa
fanno certe parti del cervello e di come sono correlate con quello che
fanno. In un certo senso questi sono i problemi facili. Ma non
risolve il vero mistero al centro dell'argomento: perché tutto quel
processo fisico nel cervello deve essere accompagnato dalla
coscienza? Perché c'è questo mondo soggettivo?
Una prima mossa potrebbe essere
quella di ampliare la lista dei fondamentali della natura postulando che
la coscienza stessa sia qualcosa di fondamentale, un mattone basilare
della natura. Quello che bisognerebbe fare in linea teorica è studiare le leggi
fondamentali che governano la coscienza, le leggi che connettono la coscienza
agli altri fondamentali: spazio, tempo, massa, processi fisici.
La seconda idea è che la coscienza
possa essere universale. Ogni sistema dovrebbe avere un certo
grado di coscienza. Questa visione è talvolta chiamata
panpsichismo: pan che significa tutto, psiche che significa
anima, ogni sistema è cosciente, non solo gli esseri umani, i cani,
topi, le mosche, ma anche i microbi, le particelle elementari.
Forse la via più semplice ed
efficace per trovare le leggi fondamentali che connettono la
coscienza con il processo fisico è collegare la coscienza
all'informazione. Ovunque ci sia un processo informativo c'è
coscienza. Il processare informazioni complesse, come negli esseri
umani, corrisponde ad una coscienza complessa. Il processare
informazioni semplici corrisponde ad una coscienza semplice.
Al di là della plausibilità, o anche
della “sana” provocazione è evidente che per Chalmers questo modo di vedere
solleva questioni per costruire una teoria della coscienza, che è forse il
problema più difficile per la scienza e la filosofia, vera chiave sia
per comprendere l'universo e comprendere noi stessi. “Si deve solo
scegliere la giusta idea folle”.
S_ Ha un fondamento di ragione.
Infatti come dice Chalmers “siamo riusciti come scienziati a costruire catene
di spiegazioni: la fisica spiega la chimica, la chimica spiega la biologia, la
biologia spiega alcune parti della psicologia. Ma la coscienza non sembra
proprio rientrare in questo quadro. Da un lato c'è il dato che siamo coscienti.
Dall'altro lato, non sappiamo come sistemare il tutto nella nostra visione
scientifica del mondo”.
F_ Scusami Steve. Lasciami dire che
la filosofia ha detto e ha ancora molto da dire in questo campo. E mi sembra ma
non voglio essere esagerato, che per quanto mi riguarda un certo dualismo ci
sta sempre bene. Per il momento non sembra che sia stato azzerato. Vorrei
citarti Kant lasciando aperta la discussione:
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito. (I. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione)
Punto e a capo
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