martedì 19 luglio 2022

La libertà in prigione - Una conversazione tra scienza e filosofia su menti, cervelli e spirito di libertà

 

Voglio condividere una bella avventura che mi è capitata qualche giorno fa mentre ero seduto a prendere un caffè. Come è possibile un’avventura seduto al bar? In genere le avventure sono legate ai viaggi, a luoghi esotici, all’imprevisto, all’erotismo.

Diciamo che questa ha una particolarità, appartiene a quella forma di eros di cui parla Platone nel Simposio, uno tra i più bei e frequentati dialoghi del filosofo greco.

Mentre ero seduto in attesa del mio caffè, ho intravisto arrivare un mio amico, Steve, che ho invitato a sedersi al mio tavolino. Lui mi informa che sta arrivando anche Franco, amico in comune.

Steve lo incontro spesso in piazza e capita che ci beviamo insieme un caffè. A dire il vero a lui piace il cappuccino, retaggio della sua vita americana, infatti è nato e ha vissuto negli Stati Uniti, nel Quincy, fino all’età di 17 anni. Il papà, che lavorava con una ditta di import export fu trasferito in Italia con l’intera famiglia a Napoli per poi lui trovarsi a Potenza come docente all’università dove insegna qualcosa che ha a che fare con i sistemi informatici.

Porta gli occhiali piccoli e molto leggeri con la montatura trasparente. I suoi occhi sono sul marrone chiaro e il naso leggermente pronunciato. Una lieve e ben curata barbetta gli incornicia il mento e la bocca.

Ma ecco Franco, alto sul metro e ottanta, pochi capelli e anche lui con barbetta, bianca, meglio ancora caffellatte, come direbbe, Nicola, il mio saggio e paradossale barbiere.

Franco insegna filosofia al liceo, ama la conversazione ed ha una ampia cultura che spazia in vari campi umanistici e scientifici. Un suo vezzo è la logica, ma non disdegna neanche l’inoltrarsi tra i sentieri dell’arte, della letteratura e spettacolo.

I due amano molto discutere tra loro, confrontarsi su varie tematiche. Quando li incontro sono contento, non solo per il piacere di vederli, perché so che assisterò a qualcosa di interessante e per me meraviglioso, nel senso di ciò che diceva Aristotele della meraviglia, la quale, come nei bambini, ci fa andare alla ricerca del perché delle cose. E poi hanno un modo di fare molto simpatico, senza risparmiarsi punzecchiature. Bazzicano due ambiti di sapere spesso in discordia tra loro. Steve dice, per punzecchiare l’altro, che i filosofemi non hanno senso. Mentre Franco, lo chiamo lo scienziato presuntuoso che vuole ridurre tutto a formulette matematiche, perdendosi il “gusto della vita”, per dire che il mondo e l’esistenza sono molto più ampi di quanto sia nel potere della scienza proferire.

Insomma cani e gatti, che però non solo sono molto amici e rispettosi l’un dell’altro, ma molto curiosi l’uno del campo di conoscenze e di studio dell’altro, il che non è che succeda così spesso. Mentre stavamo in relax in silenzio, come capita in quei momenti in cui il corpo trova una sua pacifica coesistenza con il mondo circostante contemplandolo beatamente, Franco ha notato che Steve era particolarmente assorto. Mi ha guardato per chiedermi spiegazioni. Gli ho fatto cavalluccio con le spalle sgranando gli occhi per sottolineare la mia ignoranza.

Con delicatezza, ma anche con un sorriso leggermente beffardo, Franco ha chiesto a Steve cosa gli frullasse per la testa. Steve ha alzato lo sguardo accennando ad un sorriso “Sai - ha detto - questa mattina mi sento a volte come un piccolo demonietto cartesiano altre come un serioso signor Freud. La cosa non mi tranquillizza. Capita che dei giorni si esce con un po’ di confusione in testa”.

“Spero nulla di grave e che possa impedirti, se non sono indiscreto, di dirci cosa ti sta succedendo. Così ti faccio, magari da neuroscienziato con tanti neuroni specchio - risponde Franco sorridendo e agitando a sfottò le dita della mano davanti ai suoi occhi”.

E Steve, incomincia a fare un discorso che io seguo ma che non sempre afferro. Come se volesse fare un viaggio molto profondo e analitico nella sua mente.

“Mi sono sempre chiesto - riprende Steve con gli occhi stretti e le mani congiunte davanti alla bocca- perché faccio fatica a ricordare il mio passato. Ho tentato persino una risposta di tipo neurologico per delle conformazioni particolari del mio cervello. Anche se i dottori mi hanno rassicurato che ciò che a me appare un difetto congenito è presente in una discreta quantità di uomini e donne e che il nostro cervello è molto plastico per cui non dovrei avere nessun problema. A volte ho l’impressione che la mia memoria sia come sezionata in vari strati e ogni strato è separato dall’altro, pur se procedono contemporaneamente”.

“Sei alla presa con il tuo flusso di coscienza - lo incalza Franco e con tono di chi la sa lunga- Stai facendo un lavoro d’introspezione sulla tua memoria e cosa hai scoperto?” …

Mi fermo perché voglio riportare quanto più possibile parola per parola il dialogo che da qui i due hanno intrapreso. L’ho trascritto e se siete interessati - ma vale veramente la pena leggerlo – lo trovate qui a seguire (in colore rosso).

Adesso mi limito a volervi fare partecipe dell’atmosfera che ho vissuto e del fascino intellettuale del loro dialogo. Insomma ho assistito ad una vera e propria disputa intorno, pensate un po’, al concetto di libertà o meglio per essere preciso, su il libero arbitrio, attraversando mondi scientifici e filosofici che hanno acceso la mia fantasia e ravvivata la mia sopita curiosità.

Tutta la discussione verteva sul rapporto tra mente e cervello, soggetto e mondo, sapere scientifico e filosofico. Parole che gettate così alla rinfusa non dicono niente, ma che invece acquisiscono valore se viste entro l’esplicarsi di un tema.

Tra loro si è aperta una serrata dialettica sulla libertà, la coscienza e l’autocoscienza. Cioè come si può ben capire argomenti che hanno sempre avuto un significato filosofico e che invece oggi sono trattati anche dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze, che si occupano della nostra mente e del cervello e di che rapporto esiste tra loro. Il punto focale della discussione - tra lunga scorribanda nella filosofia e nelle ricerche e ipotesi scientifiche - è stato quanto in effetti lo studio del cervello può dirci su ciò che appartiene così profondamente al nostro modo di sentire ed essere, alla nostra cultura, al campo del nostro agire nei confronti degli altri.

Da profano quale sono, la loro discussione mi ha fatto immaginare robot con nella testa spiritelli, o cervelli da cui emergevano vapori senzienti e pensanti. Se non addirittura scienziati un po’ pazzi o buffi come appaiono nei cartoni animati e per altri versi ho immaginato rivoluzionari francesi lanciarsi nella rivolta al grido di liberté, égalité, fraternité.

Sto un po’ esagerando nel volere colorare la situazione e mi sto un po’ sottovalutando solo per dire che l’argomento è ricco di suggestioni, e che per me non sempre è stato facile capire tutti i passaggi della discussione, restando molte volte perplesso rispetto a certi ragionamenti o ipotesi.

E poi - dico la verità - è scattato di riflesso un po’ di scetticismo per il tanto sentire parlare di neuroscienze. A seguire i mezzi di comunicazione sembra che abbiano la spiegazione per qualsiasi nostra emozione, percezione, o nostro sentimento o ragionamento, comportamento e fenomeno sociale. Di fatto non è così. Gli scienziati manifestano molta cautela, invitano a non generalizzare ed enfatizzare troppo i risultati delle ricerche e delle ipotesi scientifiche.

Confesso anche che pensare ad alcune caratteristiche, che ci qualificano come essere umani quali la libertà, come solo un prodotto fisico-chimico o di interazioni di neuroni localizzati e visualizzati nel cervello mi dà un po’ di sconcerto. Lo stesso vale per come vengono descritti le emozioni, il flusso della nostra coscienza, il senso del sé e ci mettiamo anche l’inconscio. E poi perché bisogna “perdere” l’anima, la fantasia, l’intuizione?

Lo so, le mie sono domande ed osservazioni ingenue. Sicuramente Franco e Steve mi avrebbero preso in giro se le avessi formulato a loro in questo modo.

Ben più articolata è stata la loro discussione. Io ho capito, che esistono livelli diversi di ricerche, che la scoperta del funzionamento del cervello è cresciuta, ma ancora c’è un infinito universo da scoprire e che c’è ancora bisogno della filosofia. Ho anche notato che le posizioni estreme e incompatibili da una parte e l’altra stanno lasciando il posto a posizioni più “compatibiliste”. Insomma si prospetta sempre di più la necessità, se si vuole dare risposte alle cose di cui accennavo, di lavorare in modo più interdisciplinare, nel senso, per dirla con la vulgata, di fare interagire la scienza con le scienze umane. Questo sia per capire le possibilità di collaborazione, sia per capire i limiti dell’una nei confronti dell’altra.

Mi dispiace non essere in grado di sintetizzare quanto i miei amici si sono detti. Ma come accennavo se siete curiosi, e vi assicuro che ne vale la pena, potete trovare la trascrizione di gran parte del loro interessante dialogo qui di seguiti a partire da dove l’abbiamo lasciato. Dipende da voi, siete liberi di scegliere (?). 


Continuazione dialogo

S = Steve F = Franco

 F_ Sei alla presa con il tuo flusso di coscienza. Stai facendo un lavoro d’introspezione sulla tua memoria e cosa “hai scoperto”?

S_ Sto viaggiando tra passato e presente con velocità della luce e nello stesso tempo mi è difficile soffermarmi su qualcosa per poterla isolare del tutto.

F_ Scusami ma non capisco, non riesco a visualizzare quello che dici.

S_ Mi accadono anche fenomeni strani. Mi capita di recuperare un particolare ricordo e lo rivivo con nessuna patina di nostalgia. Uno spaccato di me stesso nel passato riesumato come da un congelatore e scongelato per un po’. Così mi posso ritrovare in qualche episodio della mia infanzia o in altri più recenti. Essi mi compaiono nitidi e anche intensi ma come se io li guardassi dall’alto come in volo, però non riesco mai a bloccarli per poterli analizzare nella loro peculiarità.

F_ Se dovessi dirti la mia sensazione, mi sembra che tu cerchi una forma di oggettivazione, un punto di vista da cui i tuoi ricordi possano apparire come oggetti da analizzare

S_ Mi piacerebbe agire come qualcuno che usa un visore per muoversi entro un ambiente virtuale. Oggi vi sono dispositivi che creano effetti molto realistici tridimensionali entro cui ti muovi sino a cogliere distanze, dettagli, vicinanze e lontananze sfumature di suoni e colori.

F_ Quello che ti sta capitando ci mette difronte al problema della nostra coscienza e come essa ci appare nel suo flusso di ricordi, sensazioni, percezioni, stati mentali. Noto che il tuo sforzo di oggettivazione ti sta mettendo molto in difficoltà. Sono argomenti questi che uno scienziato ha difficoltà a maneggiare. Il campo filosofico ne è più avvezzo.

S_ Ho l’impressione che stai alludendo a qualcosa e scommetto che centra la filosofia.

F_ Il mio sapere filosofico è molto limitato. E penso che tutto l’argomento viva di molte incertezze sia in ambito filosofico che scientifico. Ancora qualche domanda e poi mi rivelo. Ma dimmi in realtà tu come ti senti?

S_ Mi sento come un essere senziente e pensante con tutte le facoltà

F_ Pure io posso dire di essere un essere senziente e pensante. Devi ammettere, però, che è difficile (impossibile) poter avvertire ciò che sente un altro. Cioè non posso “mettermi” nella tua testa.

S_ Infatti se volessimo tenere coerente questo discorso potremmo anche dire che tu protesti non esistere per quanto mi riguarda, sei solo un qualcosa nella mia mente. Di questo sono sicuro, del resto meno.

F_ Paradossalmente anche tu potresti essere l’illusione di una dispositivo proiettivo, tanto per riferirci al demonietto di Cartesio, qualcosa nella tua testa che ti fa vedere e sentire quello che senti e pensi.

S_ Anche se Cartesio ha voluto con il mettere in dubbio le “mie” sensazioni raggiungere quella certezza che ci permette di asserire: penso dunque sono …  Ah! ecco la trappola mi hai portato dentro il campo filosofico

F_ Non te la prendere sai che ormai esistono campi di confine in cui scienza e filosofia o se la combattono o cercano alleanze. Mi riferisco in particolare alle scienze cognitive e alla neuroscienza che si occupano di mente e comportamenti.

S_ Già e poiché siamo partiti dalla coscienza il richiamo a Cartesio è sembrato d’obbligo, visto che, tra l’altro, è un matematico, scienziato e uno dei primi filosofi della modernità (1596-1650).

F_ Certo i grandi problemi che la sua filosofia ha posto nel pensare all’esistenza di due sostanze qualitativamente diverse, che lui chiama pensiero ed estensione.

Cartesio mette al centro della sua filosofia la mente, che poi non è altro che il nostro io. Parla di pensiero, inteso sia in riferimento ai contenuti mentali (idee, le chiama lui, che sono le nostre sensazioni, percezioni, ricordi, emozioni, ragionamenti ed altro), che alla coscienza e autocoscienza, come consapevolezza del nostro pensare e sentire. A ciò si contrappone la sostanza estesa, che qualifica il mondo nella sua fisicità e che può essere descritta dalla matematica e dalla scienza, che cerca le cause egli effetti che caratterizzano i fenomeni. Per Cartesio questo mondo è deterministico, i rapporti di causa ed effetto sono necessari e consequenziali.

In tal modo egli pone un dualismo inconciliabile tra il mondo del pensiero e il mondo dell’estensione, che lo si può declinare anche come “spirito e materia”, “anima e corpo”, che sarà il cruccio di tanti filosofi e scienziati in particolare oggi nell’ambito delle scienze cognitive e nelle neuroscienze.

Per semplificare la concezione di Cartesio possiamo immaginare, quando parliamo di noi, il nostro corpo come un automa sottoposto alle leggi deterministiche della scienza, mentre il nostro io (anima o mente) come qualcosa non dominato dalle leggi della natura. È un mondo a parte, ma ha la capacità di guidarlo come un fantasma che lo abita.

Se diamo retta a Cartesio dobbiamo constatare che Io che penso, non posso uscire dalla mia dimensione soggettiva. Io posso coglierla “i miei pensieri” solo in una esperienza diretta, mentre mi appare come fenomeno e nello stesso tempo io sono fenomeno a me stesso. Tutto ciò è difficilmente conciliabile con un sapere che si occupa dei corpi come la scienza, che cerca leggi deterministiche, basate sul necessario rapporto di causa ed effetto.

S_ Se ci penso Galileo Galilei, per designare il compito della scienza suddivide le sensazioni in primarie e secondarie. Le secondarie, (come odori, colori, gusto …) non possono essere misurabili (quantificate) mentre le sensazioni primarie (peso, forma, movimento ...) possono essere quantificate e attraverso la misurazione trovare le leggi che sottendono i fenomeni.

F_ La misurazione sta alla base della determinazione delle leggi che governano il mondo. Il resto appartiene al mondo del soggetto. Per dirla retoricamente Cartesio ponendo il dualismo mente – corpo, salva l’anima (cioè la libertà e volontà dell’uomo). Nello stesso tempo però pone il grande problema di come possono relazionarsi sostanze così diverse tra di loro. Per esempio come può la mia mente dire ai muscoli della mia mano di aprirsi. Se la prima è cosa assolutamente diversa dall’altra.

S_ Già. L’errore di Cartesio ha detto qualcuno, cercando di recuperare l’idea di una unica sostanza, sulla falsariga dell’estimatore avversario di Cartesio, il signor Spinoza.

F_ Ecco ci siamo questo è il mio “gancio” per coinvolgerti a discutere sul rapporto tra scienza e filosofia. Infatti il problema del dualismo è una delle questioni delle scienze cognitive e delle neuroscienze. Il problema nasce dal verificare se è possibile superare questo dualismo Questa indicazione è colta dalle attuali neuroscienze che vogliono eliminare la divaricazione mente-corpo e che ritengono che lo studio del sistema nervoso centrale (il cervello inserito nell’organismo) possa darci spiegazione anche dei fenomeni che chiamiamo mentali, compreso la memoria

S_ E qui ritorniamo a me. Al mio dilemma a come spiegare la mia memoria

F_ Non prendertela per quello che ti dirò. So che mi comprenderai e che io sto solo elaborando una teoria. Nulla che abbia certezza filosofica o scientifica. Io credo che nella descrizione che hai fatto ti sei lasciato influenzare dal tuo lavoro. Non ho capito bene se stavi parlando di una macchina o di un essere umano.

S_ Macchina mi sembra un po’ esageratamente vintage, visto il fior fiore d’intelligenza artificiale che c’è in giro.

F_ Perché ritieni che l’Intelligenza artificiale possono essere paragonate all’essere umano?

S_ Non saprei definire precisamente un essere umano, per cosa esso si caratterizza. Per l’intelligenza? Se è così molti dei compiti intellettivi degli esseri umani sono in grado di essere svolti da una intelligenza artificiale (il riferimento classico è agli scacchi). Per il fatto che gli esseri umani apprendono? Mi sembra che alcune di esse si basano sull’apprendimento. E il progresso in tal senso è evidente. Adesso alcune sono molto evolute anche dal punto di vista del linguaggio “naturale” e conversano facilmente. Qualcuno attesta che sul punto di superare il test di Turing, che consiste nel non sapere se in una conversazione con un “dispositivo” sia in realtà un essere umano o una macchina (intelligenza artificiale). Se il test asserisce che dall’altra parte c’è un essere umano, ma in realtà c’è una macchina, vuol dire che ci è impossibile fare una differenza tra un essere umano e una macchina.

F_ C’è qualcosa che non mi convince nel tuo ragionamento. Ora che una macchina sia programmata a parlare, anche auto-apprendendo, sulla scorta di parole e modi di dire che gli forniamo anche tramite algoritmi sofisticati è concepibile. Si tratta di capire fino a che punto essa non solo fa ma capisce ciò che dice e fa.

S_ Comunque molti hanno inteso il cervello come una “macchina computazionale” molto sofisticata. Oggi le neuro scienze ci dicono molto sui nostri comportamenti a partire dal funzionamento del cervello. Studiano il cervello per parlarci dei nostri stati mentali.

F_ Ti propongo una disamina rispetto alla possibilità di capire qual è il rapporto tra mente e cervello a partire da una questione che ha e avuto una grande importanza filosofica e che è diventato anche banco di prova della ricerca e della discussione nelle scienze cognitive che si occupano della mente e dei neuroscienziati.

S_ Ecco l’insidia del filosofo. Io già so dove vuoi arrivare. Vuoi parlare della coscienza e autocoscienza per mettere alla prova in particolare le neuroscienze.

F_ Uno dei problemi grossi che ci siamo trovati - l’abbiamo visto con Cartesio (pur se è molto antico nella filosofia) riguarda le due sostanze, quella pensante (cioè l’io) e quella estesa cioè la realtà dei corpi, degli oggetti e del mondo che ci circonda. Mentre la seconda può essere compresa secondo le leggi della scienza, che sono deterministiche, l’io esula dalla comprensione scientifica, né può essere soggetto alle leggi scientifiche aprendo in tal modo, come già si diceva, grandi problemi nel rapporto tra coscienza, autocoscienza, volontà e libertà e il determinismo che agisce nel mondo delle cose.

S_ È materia un po’ scivolosa e difficilmente trova una risoluzione completa sia in ambito filosofico che scientifico. Gli scienziati più “duri”, dicono che le cose che tu hai messo in ballo (coscienza, autocoscienza, libertà) sono solo parole “filosofiche” che in fondo non hanno realtà. Per esempio neuroscienziati “molto riduzionistici” pensano che solo lo studio del cervello secondo le leggi della scienza porterà a spiegare ciò che chiamiamo stati mentali e i nostri comportamenti. Altri pure se mantengono una specie di dualismo tra mente e cervello hanno, comunque, una tendenza “riduzionista”.

F_ Possiamo tentare una disamina tenendo in conto sia le esigenze della filosofia che della scienza. Vediamo cosa ne viene fuori. Io propongo come tema la questione della libertà, o se vogliamo essere più precisi del “libero arbitrio” che ha una lunga tradizione di dispute filosofiche e teologiche (le seconde ci interessano di meno in questo contesto).

S_ Dovremmo circoscrivere il concetto e poi non possiamo approfondire nel dettaglio le questioni scientifiche.

F_ Certo. Evidenziamo quali sono alcuni problemi che il libero arbitrio pone e cerchiamo di capire la ricerca filosofico-scientifica dove ci porta.

Partirei da questa definizione di libero arbitrio: capacità di decidere con consapevolezza secondo la propria volontà. La condizione è che se scelgo qualcosa è perché ho possibilità di scelta e devo avere la possibilità di scegliere secondo la mia volontà. In altri termini la scelta che faccio è una scelta consapevole (rientra nell’ambito della mia autocoscienza).

Questo pone una domanda rispetto alle cose che abbiamo detto in precedenza: determinismo e libertà possono essere compatibili? Se facciamo riferimento alla tradizione filosofica s’intende per determinismo: ogni azione è determinata da un rapporto di causa ed effetto ciò vale per tutta la realtà. Lasciamo stare l’antichità (il problema era già discusso dai filosofi detti atomisti, come attestato nel De rerum natura di Lucrezio) per richiamare il determinista per eccellenza lo scienziato Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) bisogna dire che i fenomeni del mondo naturale sono legati tra loro da precisi rapporti di causa-effetto. Da questa concezione scaturisce il carattere di assoluta prevedibilità di ogni teoria scientifica, la quale enuncia leggi corrispondenti a un comportamento ineluttabile degli oggetti fisici. Laplace dice che la nostra ignoranza non ci permette di vedere l’insieme delle cause e degli effetti che agiscono nell’universo, lasciandoci immaginare cause finali o il caso. “Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse così vasta da sottoporre questi dati all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti dei più grandi corpi dell'universo e quelli del più lieve atomo: nulla sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." (P.S. Laplace, "Saggio sulle probabilità"_ 1814)

Al contrario la libertà si caratterizza proprio per essere svincolata dall’essere conseguenza di una causa. Infatti se io dico mi va di bere un caffè, lo prendo e lo bevo.

Problemi: se non c’è rapporto tra realtà “fisica” e volontà allora penso come Cartesio. Vi sono due sostanze, ciò un corpo (automa) sottoposto a determinismo, governato da uno “spirito-spettro dentro al corpo”.

S_ Come si diceva è difficile porre in relazioni le due sostanze. D’altronde è strano però che ad una realtà attribuiamo della causa e non ci chiediamo se l’altra abbia le sue cause, se pure essa opera in termini di causa ed effetto. In tal modo resta indefinita una delle due, a cui aprioristicamente assegniamo la nostra idea di libertà che andrebbe spiegata, ma che a sua volta produce degli effetti sull’altra aprendo il ciclo delle cause e degli effetti. Si avrebbe il paradossa che una crea liberamente, su un mondo che dovrebbe essere determinato. Qualcuno, malignosetto, potrebbe suggerire se qui non siamo alla presenza di quella ignoranza di cui parlava Laplace.

F_ Alcuni, diciamo i “libertari” più “anarchici”, dicono che nella realtà vi è l’indeterminazione e il caso e ciò porterebbe a presupporre la libertà. Però se attestiamo l’indeterminismo e il caso, ciò contraddice l’idea di libertà che abbiamo definito precedentemente, caratterizzata da volontà e autodeterminazione. E nello stesso tempo una mia decisione produce degli effetti.

È anche evidente come una discussione del genere non ha un valore solo teorico ma coinvolge molto le questioni pratiche che riguardano per esempio l’etica e il diritto.

S_ Quindi se consideriamo la tradizione filosofica vi è una contrapposizione, una incompatibilità, fra i cosiddetti “deterministi” e i “libertari”. I primi attestano che non esiste il libero arbitrio, tutto è “determinato necessariamente” da una catena di cause ed effetti e che la libertà fondamentalmente sia una illusione. I secondi, invece, insistono sul requisito della libertà metafisica contro causale come presupposto filosofico irrinunciabile della responsabilità morale e giuridica.

F_ Dirò di più. La discussione si è incentrata tradizionalmente su alcuni importanti aspetti: una di carattere fondamentale, cioè se il libero arbitrio esiste o meno; uno di carattere più pratico se il libero arbitrio non esiste, su quali concetti si può fondare il giudizio di responsabilità morale (e di conseguenza anche quello giuridico)?

S_ Questa discussione la possiamo ritrovare entro l’ambito delle scienze cognitive e delle neuroscienze, che cercano di stabilire l’esistenza di stati mentali e neurologici che ci indicano il “luogo” della coscienza e della libertà nel cervello correlato alla mente. Oppure al contrario se il libero arbitrio così come è stato pensato fino ad adesso può essere messo da parte, o se esso invece può avere una certa funzione, che per il momento chiamiamo pratica.

F_ Belle potete bollenti da maneggiare con cura.

S_ La cosa interessante è che nell’ambito delle neuroscienze si è aperta una discussione circa la possibilità di conciliare i due fronti contrapposti i deterministi e i “libertari”. Si è aperta, paradossalmente all’apparenza, una possibilità che viene indicata con il termine compatibilismo secondo cui l’affermazione del principio di causazione universale (determinismo) non inciderebbe affatto sullo status morale degli esseri umani.

Si cerca di ridefinire in parte i termini in questione, che limitano l’idea di “libertà assoluta” a favore dell’esistenza di “margini di libertà”. Secondo queste concezioni esistono impulsi e desideri determinati da leggi di natura che agiscono su di noi, verso cui noi potremmo disporre di un potere di veto. Questa forma di compatibilismo pone una nuova relazione tra volere e fare. L’uomo sarebbe libero di fare o non fare quello che vorrebbe, ma non è libero di volere, poiché è privato totalmente (o parzialmente) di un potere di controllo sulle proprie volizioni, intese come puri stati mentali, che sono il frutto meccanico della propria condizione biologica.

F_ Se ho ben capito il compatibilismo di cui tu parli cerca di dare una differente definizione di libero arbitrio, dove a prevalere non è una forma di libertà assoluta (faccio quello che voglio, oppure faccio quello che posso di fronte a degli ostacoli) ma introduce “un substrato inconscio” che mi mette nella condizione di potere porre (solo) un veto. Diamine interessante! L’inconscio nelle neuroscienze. Si adopera un linguaggio che fino a questo momento è usato in modo specifico solo nella psicoanalisi. Cioè si parla di meccanismi inconsci.

S_ Attenzione a non sovrapporre in modo improprio i due concetti, anche se si possono trovare somiglianze. A tale proposito risulta interessante la discussione che si è aperta intorno agli esperimenti del neurobiologo Benjamin Libet che sembra abbia dimostrato che il processo che conduce ad una azione volontaria inizia inconsciamente, a livello neurologico, ben prima che la persona ne sia consapevole e che gli atti coscienti volontari siano solo l’epilogo di processi neurologici inconsapevoli. Sembrerebbe cioè aver sconfessato l’idea del libero arbitrio come volontà cosciente.

F_ Si dovrebbe pensare a una cosa del genere cioè che qualche istante prima che io dia il volontario ordine alla mia mano di alzarsi, “inconsciamente” circuiti celebrali hanno già dato l’ordine?

S_ In breve, Libet chiedeva ai suoi pazienti di dire quando avevano deciso di muovere il braccio, ritenendo evidentemente che una coscienza puntuale fosse necessaria a dare carattere di volontarietà e personalità persino ad un’azione così insignificante. In verità, i suoi esperimenti hanno individuato «una lacuna temporale» tra un’onda di attività chiaramente visibile nel cervello dei suoi soggetti, nota come potenziale di prontezza, e il successivo istante della “decisione cosciente” da loro dichiarato. La ricerca, i risultati e la discussione è facilmente reperibile su internet.

F_ Se ho ben capito, grazie anche alle tecniche di neuroimaging, l’osservazione empirica dei processi cerebrali avrebbe dimostrato che la volontà cosciente non causa affatto la decisione, così come si è sempre creduto. Sembrerebbe, quindi, che l’idea filosofica classica del libero arbitrio, secondo cui un essere umano deve essere in grado di cambiare la direzione della decisione in ogni istante secondo il proprio volere, grazie a prove scientifiche abbia solo una natura illusoria.

S_ Non arriviamo a conclusioni drastiche. Come dicevo la discussione è ampia. Gli esperimenti hanno messo alla prova una definizione filosofica di libertà, che ha anche strutturato l’esperimento. L’indagine attesta che l’attività cosciente più che dare inizio ad un’attività che porta ad un certo comportamento eserciti una funzione censoria, se dare corso, o interrompere, o impedendo il decorso a quanto neurologicamente predisposto inconsciamente. Per dirla in termini più spiccioli, in genere si presuppone che prima avviene la decisione e immediatamente dopo l’azione. Da questi esperimenti sembrerebbe che accadrebbe l’opposto, agiscono prima gli “impulsi inconsapevoli” e poi la decisione consapevole.

Sull’attività inconscia ci sono state altre ricerche interessanti, così come è diventato sempre più evidente l’importanza della funzione celebrale in correlazione all’intero corpo e anche dell’ambiente. Questa continuo allargamento delle prospettive ha nello stesso tempo ampliato la conoscenza del nostro cervello ma ne ha ampliato anche l’orizzonte, complicando ulteriormente la situazione.

F_ Vuoi dire che bisogna stare attenti alle eccessive generalizzazioni. Molte cose non hanno né teorie né dimostrazioni sperimentali definitive.

S_ Certamente. Anche se bisogna dire che le ipotesi sono importanti per il discorso scientifico. Per riprendere il nostro discorso rispetto al concetto di “libertà” in cui abbiamo visto subentrare l’inconscio, il corpo-cervello l’ambiente l’idea compatibilista ha trovato un’altra diramazione interessante.

Alcuni neuroscienziati ritengono che non sia necessario scegliere contrapponendo meccanicismo determinista e libertà ma che si possa affermare l’idea di responsabilità senza assumere una posizione determinista. Mettono in campo una certa idea di esperienza soggettiva.

F_ Aspetta un attimo! Stai dicendo, dunque, che la libertà può essere compatibile con il determinismo. Mi sembra paradossale. Ti faccio notare, inoltre, che all’inizio della nostra conversazione un elemento di distinzione tra il mio modo di concepire la coscienza e il tuo era basato sulla impossibilità di riportare l’esperienza soggettiva (il flusso di coscienza che esperisco solo io, o solo tu) entro una descrizione scientifica.

S_ Calma, cerchiamo di capire di quale tipo d’esperienza si parla, facendo riferimento a quello che si dicevo prima. Essi si esprimono in questo modo: ci può essere compatibilità tra responsabilità e determinismo perché pure essendo la libertà una sensazione fenomenologica, percepibile soggettivamente, ha una sua importanza e funzione. Essa appartiene alla dimensione del soggetto e come tale è percepita, mentre il determinismo caratterizza il mondo scientificamente.

F_ Cioè stai dicendo che essi valorizzano ciò che possiamo dire essere un “sentimento”, il sentirsi liberi, per dire che in questo modo la libertà esiste?

S_ Diciamola così. A noi sembra che le nostre decisioni siano prese in anticipo, che attivino dei processi cerebrali la cui conseguenza è l’azione volontaria; attribuiamo la maggior parte delle nostre azioni ai pensieri che precedono l’atto e che spiegano le nostre azioni; siamo convinti che gli individui abbiano il dominio delle loro azioni e siano liberi nelle loro decisioni; siamo persino convinti che questa autorità possa essere esercitata anche sulle altre persone, condizionandone le decisioni. Però si pone una domanda?

F_ Ecco si affaccia il mistero. Sento che il tuo discorso abbia un non se che di Schopenhauer, che contrapponeva alla rappresentazione la volontà. Come il mondo appare a noi non è altro che frutto della volontà che agisce inconsciamente. Mi sembrava che la cosa potesse essere complessa! Io ho anche altre domande comunque.

S_ Suggestiva la tua osservazione ma andrebbe maggiormente verificata in riferimento al determinismo, almeno come l’abbiamo definito fino a questo momento. Diciamola in quest’altro modo: ammettiamo che questa attività mentale, cioè la libertà, non sia sottoposto alle “leggi” del cervello -corpo, “che fosse davvero così scollata e indipendente dall’effettiva catena di cause che collegano il corpo ed il cervello del soggetto alle proprie azioni, se fosse un meccanismo così stravagante, sofisticato e astratto, allora perché esiste in natura?

F_ Ecco che si affaccia lo zampino del neurobiologo.

S_ la volontà libera la possiamo considerare un tipo particolare di emozione. In genere le emozioni sono collegate ad uno stato del corpo, che ci informa su uno stato del mondo (pensa alla paura). Quest’altro tipo di emozione ci fa essere nel mondo, ci fa sentire come portatori di potenzialità e limiti, ci mette di fronte alle responsabilità, a stabilire ciò che è dentro di noi da ciò che è fuori di noi.

F_ Non mi è ancora chiaro quello che dici

S_ Facciamo un esempio. Sollevo un braccio. Io l’avverto come un’azione soggettiva. Essa è vera perché provoca una serie di reazioni biologiche e di azioni sulla realtà.

Diciamola anche così. Il senso di paternità delle nostre azioni, il sentirsi agenti liberi dotati di una volontà svolge un ruolo importante nell’esistenza di ognuno di noi. In questo senso la discussione “più filosofica” sulla predeterminazione della volontà perde significato.

F_ Credo che dietro quello che dici si affacci lo zampino dell’evoluzionista.

S_ Sì, è evidente che c’è in questo della biologia, diciamo allargata. Questa “sensazione” è così importante che se perdiamo cognizione della nostra consapevolezza e libertà di agire possono esserci delle conseguenze psicopatologiche come la depersonalizzazione in riferimento al Sé con una serie di comportamenti inadeguati.

F_ Comunque la mia impressione è che la cosa sia tirata un po’ per i capelli. Far comparire una specie di un illusorio doppio interiore per mantenersi entro uno schema deterministico anche se più soft. Invece di semplificare mi sembra che si sia complicata la questione.

Il concetto di Sé è stato nel corso del tempo oggetto di riflessione all’interno di diversi approcci teorici e applicativi.

S_ Alcune ricerche interdisciplinari stanno cercando di evidenziare come il cervello si struttura in correlazione alla costruzione del Sé attraverso l’integrazione di fattori biologici e psicosociali, che sono aspetti fondamentali nella vita delle persone. Vengono messi in rilievo la plasticità del concetto di Sé e l’adattamento del cervello in relazione all’ambiente.

Si ipotizza che l’esperienza del Sé, con i correlati di libertà, consapevolezza siano indispensabili pure se partiamo da concezioni deterministiche

F_ Siamo ad un punto cruciale della nostra discussione ma non assolutamente conclusivo. Siamo giunti al sé, siamo di fronte alla coscienza e sembra ancora essere un mistero.

S_ Si è vero quello che dicevo è un tracciato di ricerca, che come vedi pone in sé non solo interrogativi scientifici ma anche filosofici.

F_ Infatti per dirla con una battuta non c’è nessuna evidenza da neuroimaging che ci fa “vedere” la coscienza o addirittura l’autocoscienza nel cervello. Si apre un discorso molto complesso, dentro una scienza in cui la complessità la fa da padrone.

S_ Sono spiegazioni provvisorie, ipotesi che a volte sono molto suggestive, ma che rendono anche delle impasse in cui si trovano le neuroscienze.

Al di là della plausibilità delle ipotesi. Indica quanto sia lungo il cammino da compiere. Certo io sono uno scienziato e, per quanto mi riguarda, il “linguaggio” che bisogna sviluppare è quello della scienza.

In fondo, nonostante tutto ci troviamo difronte ad una bella dissonanza cognitiva che crea incertezza in ciascuno di noi. Da una parte avverto che non posso fare a meno della libertà e in fondo mi è difficile immaginare un mondo senza essa. Dall’altro devo “constatare” da scienziato che lo stesso mondo è deterministico. Un continuo oscillare.

F_ È così! D’altronde immagina quali possono essere le conseguenze in ambito morale e giuridico se si affermasse il determinismo nella percezione comune rispetto al discorso sulla responsabilità. Quale senso per esempio assumerebbe il discorso sulla pena in ambito giuridico? So che ci sono discussioni in atto e che alcuni cercano di ridefinire i concetti di responsabilità e pena con una visione più determinista, aprendo chiaramente anche grandi dilemmi sociali sulle conseguenze.

S_ Inoltre si discute tra scienziati e filosofi se in qualche modo non bisogna cambiare paradigma di approccio alla ricerca per potere affrontare questioni riguardanti il discorso della libertà e della coscienza senza abbandonare criteri di scientificità. Ho sentito il professore Giuseppe Trautteur (che si occupa tra l’altro di algoritmi evolutivi, reti neurali) affermare (provocatoriamente?) che forse per rimettere un po’ in ballo tutto bisogna ritornare alla struttura profonda dell’universo, a come è fatta la materia.  Si pensa in genere che sappiamo tutto della materia e che la coscienza è oscura. Dal suo punto di vista sia la coscienza che la materia sono altrettante oscure e quindi il problema per il momento è insoluto. Molte di queste cose sono contenute nel suo libro Il prigioniero libero (Adelphi 2020).

“Se la mente, tramite il cervello, ha la facoltà di indirizzare il corso dell’Universo in una specifica direzione tra due o più direzioni ipoteticamente possibili, ciò significa che occorre rivedere cos’è una legge di natura. Se il cervello è un meccanismo operante secondo le leggi di natura come le conosciamo, la mente -la coscienza- è bloccata ad essere un mero astante dell’accadere delle azioni del soggetto e della totalità della storia umana. È questa l'impasse del libero arbitrio” (Giuseppe Trautteur)

Accontentiamoci di questa incertezza per il nostro vivere.

F_ Qualche anno fa il filosofo David Chalmers autore de La mente cosciente (1996) e tra i protagonisti della ricerca interdisciplinare sulla coscienza, ha suggerito che per affrontare le questioni della coscienza bisogna introdurre idee radicali nella scienza per superare la dicotomia oggettivo (scienza), soggettivo (coscienza).

Il lavoro della neuroscienza  - afferma Chalmers - risponde ad alcune delle domande riguardanti su cosa fanno certe parti del cervello e di come sono correlate con quello che fanno. In un certo senso questi sono i problemi facili.  Ma non risolve il vero mistero al centro dell'argomento: perché tutto quel processo fisico nel cervello deve essere accompagnato dalla coscienza? Perché c'è questo mondo soggettivo?

Una prima mossa potrebbe essere quella di ampliare la lista dei fondamentali della natura postulando che la coscienza stessa sia qualcosa di fondamentale, un mattone basilare della natura. Quello che bisognerebbe fare in linea teorica è studiare le leggi fondamentali che governano la coscienza, le leggi che connettono la coscienza agli altri fondamentali: spazio, tempo, massa, processi fisici.

La seconda idea è che la coscienza possa essere universale. Ogni sistema dovrebbe avere un certo grado di coscienza. Questa visione è talvolta chiamata panpsichismo: pan che significa tutto, psiche che significa anima, ogni sistema è cosciente, non solo gli esseri umani, i cani, topi, le mosche, ma anche i microbi, le particelle elementari. 

Forse la via più semplice ed efficace per trovare le leggi fondamentali che connettono la coscienza con il processo fisico è collegare la coscienza all'informazione. Ovunque ci sia un processo informativo c'è coscienza. Il processare informazioni complesse, come negli esseri umani, corrisponde ad una coscienza complessa. Il processare informazioni semplici corrisponde ad una coscienza semplice.

Al di là della plausibilità, o anche della “sana” provocazione è evidente che per Chalmers questo modo di vedere solleva questioni per costruire una teoria della coscienza, che è forse il problema più difficile per la scienza e la filosofia, vera chiave sia per comprendere l'universo e comprendere noi stessi. “Si deve solo scegliere la giusta idea folle”.

S_ Ha un fondamento di ragione. Infatti come dice Chalmers “siamo riusciti come scienziati a costruire catene di spiegazioni: la fisica spiega la chimica, la chimica spiega la biologia, la biologia spiega alcune parti della psicologia. Ma la coscienza non sembra proprio rientrare in questo quadro. Da un lato c'è il dato che siamo coscienti. Dall'altro lato, non sappiamo come sistemare il tutto nella nostra visione scientifica del mondo”.

F_ Scusami Steve. Lasciami dire che la filosofia ha detto e ha ancora molto da dire in questo campo. E mi sembra ma non voglio essere esagerato, che per quanto mi riguarda un certo dualismo ci sta sempre bene. Per il momento non sembra che sia stato azzerato. Vorrei citarti Kant lasciando aperta la discussione:

“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata. La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria. Il primo spettacolo di una quantità innumerevole di mondi annulla affatto la mia importanza di creatura animale che deve restituire al pianeta (un semplice punto nell’Universo) la materia della quale si formò, dopo essere stata provvista per breve tempo (e non si sa come) della forza vitale. Il secondo, invece, eleva infinitamente il mio valore, come [valore] di una intelligenza, mediante la mia personalità in cui la legge morale mi manifesta una vita indipendente dall’animalità e anche dall’intero mondo sensibile, almeno per quanto si può riferire dalla determinazione conforme ai fini della mia esistenza mediante questa legge: la quale determinazione non è ristretta alle condizioni e ai limiti di questa vita, ma si estende all’infinito. (I. Kant, Critica della ragion pratica, Conclusione)

Punto e a capo

 

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