"L'arte è una cosa seria"
Così ha esordito Dario Carmentano alla presentazione della sua personale antologica che copre più di 40 anni della sua carriera a partire dagli anni 70 del secolo scorso.
E bisogna prenderlo sul serio se si segue il filo esistenziale e artistico così come emerge attraverso le sue opere.
Sei luoghi ideali per segnare sei momenti della sua produzione artistica si articolano dentro l'ala più settecentesca del palazzo Malvinni Malvezzi di Matera dove le opere sono raccolto sotto definizioni indicative che riguardano il momento formativo (1974-1987), astratto geometrico (1984-1989), poetico visivo (1987-1992), ibridazioni antropologiche (1994-2005), concettuale ironico (1999-2014), ritorno alla pittura (2018 - oggi).
"L'arte è una cosa seria" riguarda la concezione di Dario e di una intera generazioni di pittori lucani, che la fondazione Porta Coeli e, soprattutto, Donato Faruolo, il curatore dell'antologica, cercano di mettere in relazione attraverso esposizioni, raccolte, serie di focus o antologiche. Personalità che, tra gli anni settanta e novanta del secolo scorso, hanno segnato la presenza artistica nella regione in un rapporto molto stretto ricco di tensioni tra linguaggi artistici contemporanei e la capacità di trovare "radici" in un territorio e una cultura di riferimento mai considerata però come sostanza immodificabile. Una "origine" che manifestava potenzialità e contraddizioni, a cui si accedeva lambendo profondi territori antropologoci che in forma paradossale, senza alcun culto folklorico, di esaltazioni etnica e culturale o frequentazioni di paradisi perduti in cui rifugiarsi in spazi di mistica individuale, rigeneravano innovando in un rapporto "aperto", potenzialità espressive tramite contaminazioni, giochi linguistici e formali che aprivano al confronto con una dimensioni globale.
Così gli aspetti fondanti della "civiltà" materana (come dice - Dario Carmentano- di parsimonia, ecologia, comunità, sacralità, impermanenza) diventano modalità espressive, tensione stilistica, coerenza di ricerca, insomma indissolubile legame tra estetica ed etica.
Un giorno proprio con Donato Faruolo, a ridosso della pandemia, ho avuto modo di incontrare Dario a casa sua mentre era al lavoro e d'emblée mi chiese cosa io ricavassi da quei lavori che avevano in prima apparenza un aspetto molto astratto. Io risposi che in realtà vedevo una certa tensione tra informe/forma, in alcune serie addirittura la messa in scena di una lotta tra essi. La sua risposta mi venne data dai suoi occhi con un lampo di luce.
Dicevamo l'arte è qualcosa di serio, lavoro studio continuità, se vogliamo, per alcuni versi, anche capacità di rinuncia alle sirene della seduzione delle mode. Ecco io credo, e non sono un critico o uno storico dell'arte, che nel lugo lavoro di Carmentano vi sia un coerente sforzo di scardinare dialetticamente la potenza o prepotenza della forma astratta senza rinunciare ad una "formazione". Se si guarda a volo d'uccello gran parte della sua produzione, compreso gli ultimi esiti, si può scorgere una coerenza di ricerca molto marcata, una tensione eideditica, che attraverso varie modalità espressive si mantiene ferma. Si tratta di ciò che emblematicamente possiamo definire come "dialettica" tra l'astrazione geometrica della modernità e la tensione organica (vitale) che rompe qualsiasi forma di irrigidimento e assolutizzazione.
Questo però (e qui la ri-formazione compositiva) non significa dispersione nel frammento o nella illusione che il frammento possa risolversi in sé. Anzi esso è comunque sempre in tensione con un tutto, o almeno con una costellazione di frammenti sottoposto ad una forza compositiva, attrattiva e generativa di equilibri vibranti pronti a ri-frammentazione e ricomposizione, quasi un gioco di composizione ricomposizione di organismi pluricellulari.
I materiali di cui le opere si compongono si sovrappongono con consistenza e valori diversi producendo segni, disegni e figure, da cui inaspettatamente può emerge un simbolo come allusione ad un contesto culturale reale o ironicamente messo in discussione.
Si prospetta un territorio compositivo, che non è puro gioco segnico, frutto, invece, di una ricerca seria di un senso che non si assolutizza mai in una forma. Sempre in bilico a trasmutarsi in altro come nelle "gestaltiche" figure instabili delle sue ultime composizioni.
Sempre da questa prospettiva da sorvolo da cui ci siamo posti, nel gioco di identità e differenze messo in rilievo, si nota al di sotto della superficie, proprio a partire da quella essenzialità antropologica di cui si accennava, una ricerca sul senso dell'essere, che avvicina quanto più possibile
alla natura - non quale riflesso romantico di maniera- per stabilire un rapporto tra uomini, comunità, animali non umani, senza enfasi modaiola ma necessità essenziale di ritrovare una composizione (tensiva mai definitiva) fra organico inorganico, cultura natura, conoscenza esperienza, singolo comunità.
Il segno e le modalità di composizioni formale , testimoniano un fare artistico, che si priva del dominio, della potenza del fare caratteristica di una civiltà della hybris prometica per ridefinire i contorni esistenziali singoli e collettivi all'insegna della fragilità che ci caratterizza e che dovrebbe aprirci a forme di alleanze prive di gerarchie e domini, capaci di dare vita a nuove forme di comunità. Proprio quella fragilità che De Martino coglieva nel dramma della presenza e nei riti di reintegrazione a partire da una civiltà presupposta arcaica ma espressione di una condizione, se pur in forme e modalità diverse, generali. Di qui il paradosso di un rapporto di grande intensità con la dimensione urbana, paesaggistica e tellurica della Città di Matera. La dimensione abitativa dei sassi fuoriesce da qualsiasi conformazione architettonica e urbanistica canonica e razionale. Segue al contrario la conformazione frattale della natura, non si erge in verticale ma nello scavo tellurico e organico di madre terra.
Ritengo che la mostra sia anche un dovuto omaggio ad un'artista che ha fatto della città di Matera, il suo luogo "originario", la quale, però, non sempre ha saputo riconoscere l'amore ricevuto. E forse non sa ancora cogliere i segni di una pericolosa gentrificazione, che mette a rischio, per alludere a quanto detto, la sua "essenzialità antropologica".
N.B. Per le mostre e gli artisti a cui si è fatto cenno, senza nominarli, si vede il sito e i social della fondazione Porta Coeli dove sarà possibile reperire anche i relativi cataloghi.
Matera, Palazzo Malvinni Malvezzi
17 • 12 • 22 - 14 • 01 • 23
mostra antologica prodotta da Porta Coli Foundation a cura di Donato Faruolo
inaugurazione
sabato 17 • 12 • 22, ore 17.30
ingresso libero
da lunedì a sabato
10.30 - 13.00 / 17.00 - 20.00
chiusura 24 - 26 • 12 • 22
31 • 12 • 22 - 2 • 01 • 2023
info@portacoeli.it • www.portacoeli.it
+39 0972 36434 • +39 348 5829789
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