mercoledì 18 gennaio 2023

Pane quotidiano

"Signorina scusi
posso chiederle una cosa?"
"Mi dica" - risponde la giovane e simpatica panettiera. 
Un'anziana signora sta a due passi avanti nella fila in panetteria. 
Come ogni giorno prendo il mio pezzo di focaccia, un po' per golosità e un po' per calmare il languorino che a quell'ora della mattinata mi porta a desiderare di mangiucchiare qualcosa prima di sedermi al mio solito tavolino per un caffè. 

Una signora alta e magra con una gonna lunga, bianco opaco e qualche disegno astratto. Sopra un cardigan di cotone marrone chiaro, sotto una camicia sull'azzurrino, il colletto arricciato. Le scarpe basse con una geometrica fibbia in metallo. Nel complesso portamento dignitoso, sottolineato da una magrezza pronunciata. La testa coperta da capelli bianchi, corti e mossi. Il collo sottile su un schiena lunga e stretta. Alta quasi quanto me. 

"Signorina mi scusi. Le chiedo un piacere". "Se posso" di rimbalzo la commessa con un sorriso non più di routine e le sopracciglia leggermente aggrottate. Forse nello sguardo della signora nota un velo di preoccupazione, che io non posso vedere perché la signora è di spalle. 
Poi, con voce bassa, per non farsi sentire, o perché stanca, continua.  
"Se cortesemente potete dire a qualcuno che ha bisogno di una signora che sta in casa per aiuto o compagnia, se può ospitare". Nel frattempo il volto della ragazza al banco, che di solito è aperto e sorridente si incupisce, la fronte leggermente accigliata e gli occhi protesi, fissi e sgomenti verso la signora. Noto meraviglia, preoccupazione e compassione. 
Cerco di prestare più attenzione, ascolto.  "Io sono vedova e non posso più pagare l'affitto e devo lasciare casa. Se qualcuno mi può ospitare io non do fastidio, sono autonoma, contribuisco al mangiare, posso fare qualcosa in casa". 
La ragazza, inconsapevolmente allunga le braccia e poi se le porta al petto. Si capisce che prova tanta compassione per la signora da volerla abbracciare. Con voce commossa le dice che se viene a conoscenza di qualcosa l'avrebbe chiamata. Poi chiude il discorso sottolineando: "è comunque un po' difficile. Lei lo sa?" abbassando lo sguardo segnato da un velo di tristezza. 

La signora si gira e finalmente la posso guardare in volto. È leggermente contratta, la bocca stretta, gli occhi piccolini, il viso tendente all'oblungo. Mi passa accanto come un fragile oggetto di vetro. Senza rivolgermi lo sguardo e senza fretta se ne esce e se ne va. La commessa cerca il mio sguardo come io il suo, senza dira nulla se non qualche "ma" accompagnato da un lungo respiro a sciogliere la tensione e la tristezza di cui siamo stati presi. Dico una banale frase del tipo "che brutti tempi" prendo il pezzo di focaccia. La ragazza mi ripete sconsolata "che cosa posso fare? Chi vuoi che mi dica qualcosa". Rispondo ancora più banalmente " chissà forse". 

Imbocca la porta ed esco. Fuori una bella giornata autunnale, di cui si approfittano le persone per farsi una bella passeggiata nel centro storico della città. Io riprendo fiato, liberandomi dal senso di costrizione provato nel piccolo negozio. Non posso fare a meno di pensare. Mi sento fortunato. Mi sento impotente. Mi sento solo. Gli altri chi sono, non so di loro, opacizzati in un mondo estraneo, che fintamente si conosce solo in superficie. Omologati e coperti da una nebbia che li avvolge e li tiene lontani. Respiro la nebbia mi entra dentro e mi soffoca. 

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