Una mia riflessione sullo spettacolo "La gioia" di Pippo Delbono, uno dei nostri registi italiani più amati al mondo, visto al Città delle 100 Scale Festival. Teatro Francesco Stabile il 14 ottobre 2024.
Lo spettacolo "La gioia" di Pippo Delbono è stato realizzato nel 2018. È questo un periodo doloroso per il regista-attore, e durante il corso della messa in scena dello spettacolo scompare anche Bobò, l'amico, l'anima, "l'attore assoluto", l'alterità che è stata a suo fianco con grande affetto per moltissimi anni.
Indicibile e alquanto insopportabile è il dolore di una perdita. È anche il momento in cui si ingaggia un serrato confronto con la vita.
Lo stesso regista avverte dell'urgenza con cui lo spettacolo è emerso, di come si sia intessuto sulle figure degli amici-artisti della sua compagnia, di quelli che ancora ne fanno parte e di altri che sono andati via. Ma è soprattutto lo slancio di una forza vitale che si affaccia da un profondo oscuro, squarciato da lampi di "gioia".
Cos'è la gioia? Delbono dice: "Lo spettacolo, La gioia, io lo chiamo anche un cammino verso la gioia: è uno spettacolo che attraversa il dolore, la lotta per cercarla, quella gioia".
Un cammino realizzato con gli attori della compagnia che durante lo spettacolo manifestano le varie tappe di un viaggio attraverso i sentimenti più estremi: angoscia, felicità, dolore, entusiasmo, alla ricerca infinita della gioia.
Uno dei filosofi più importanti della modernità, Spinoza, ha dedicato parti importanti della sua filosofia alle passioni, a quei moti che ci determinano nel nostro modo di essere.
Nel suo testo più importante, l'"Etica", sottolinea come la gioia sia qualcosa che inerisce alla felicità, sia vera forza, pura essenza della potenza delle passioni. L'essere umano trova appagamento quando sente di realizzarsi nel suo stare al mondo. La gioia rafforza la tendenza a perseverare nel proprio essere contrariamente alla tristezza, che ci fa sentire il mondo come luogo inospitale, minaccioso, producendo così un inautentico ripiegamento su noi stessi.
Un altro filosofo, con un gesto più radicale, Nietzsche, proclama che bisogna dire sì alla vita in tutta la sua tragicità.
È un pensiero che ci aiuta a confrontarci con l'esistenza, con la semplicità dei meccanismi che la determinano e nello stesso tempo con il subbuglio esistenziale di un essere umano, che deve sempre confrontarsi e scontrarsi con le contraddizioni della vita. A questo non c'è scampo. Tra gioia e tristezza, tra vita e morte, tra ragione e follia c'è una stretta contrapposizione di forze che persevereranno in una lotta insanabile e indecidibile, se, come dice Spinoza, l'essere umano non si immerge in quella dimensione del tutto che acquieta, per la gioia raggiunta nella sua completezza.
Lo spettacolo è l'ultima tappa di un cammino che, attraverso frammenti di ricordo-esistenza, ricompone una vicenda durata più di 20 anni di una compagnia: "questa mia Compagnia - dice Delbono - che è nata da incontri. Con attori, danzatori, ma soprattutto con persone che provengono da luoghi diversi della vita". Il termine compagnia racchiude in sé "cum", che richiama a comunità, al mangiare insieme il pane, a compiere un rito eucaristico di condivisione di gioia e sofferenza nell'offrire al sacrificio il proprio corpo. Lo spettacolo è il lungo viaggio in cui si realizza "una com-pagnia" priva di una richiesta identitaria, che vive della differenza e di alterità provenienti da "luoghi diversi della vita".
Si sbaglierebbe a vedere nello spettacolo solo risvolti psicologici, sentimentalismi o pathos emotivi. Si può scorgere, invece, il tentativo di mettere su un rito, per quanto privo di una sua configurazione strutturale, che opera per ricomporre una condizione esistenziale fragile all'interno di una comunità.
Sul palco tante suggestioni emergono per l'utilizzo di molteplici linguaggi, quali il teatro di narrazione, la danza, il circo, l'avanspettacolo, la musica, per la maggior parte composta dallo stesso Delbono.
La preghiera del clown recitata da Totò ricorda la fragilità del teatrante e nello stesso tempo la sua ragione d'essere. Cosi come paradossale il folle che "canta" Io so pazzo di Pino Daniele su un insieme di musiche piene di contrasti armonici al limite dello stridore.
La scena diventa luogo di una performance artistica grazie alla disposizione sul palco di una miriade di barchette di carta, foglie e indumenti, mentre Delbono recita "Mare nostrum" di Erri De Luca. Lo spettacolo si chiude con la cornice della meravigliosa composizione del fleuriste Thierry Boutemy. Un'esplosione di forme e colori.
Il teatro di Delbono è divisivo perché è tradimento di formule, apparati, modalità sia della tradizione che di quello che è stata definita avanguardia, da lui entrambe attraversate. Siamo di fronte a un teatro in cui la rappresentazione è la vita e la vita è rappresentazione. Che la forma è il transito attraverso cui la vita possa accadere.
Parlando di Bobò, a cui lo spettacolo è dedicato e in cui è evocata come spirito guida, Delbono dice: "(Bobò) è un uomo che ha rivoluzionato i linguaggi del teatro. Il suo essere diverso ha contaminato fortemente il mio lavoro. E questo spettacolo è il cuore di questa storia.
In questo spettacolo Bobò porta il circo, porta quell'innocenza. Porta il segreto profondo del teatro".
E qual è il segreto del teatro? Quello di essere sempre altro da sé, privo di cristallizzazioni mortifere, perché la vita emerga nella sua innocenza.
Proprio l'innocenza è il tratto che connota lo spettacolo nel susseguirsi delle apparizioni di quegli esseri umani che ne sono protagonisti.
"In questo spettacolo - scrive l'autore - sono ritornato come nei miei primi lavori in uno spazio vuoto, più essenziale, più povero. Che viene via via coperto di elementi che ci portano in altri luoghi, come fossero le stagioni di un tempo che passa. Così nello spettacolo a un certo punto dico a Gianluca, che porta in quel momento il segno poetico del circo: il dolore passerà, la tristezza passerà, e tornerà la gioia".
Lo spettacolo è pura poesia che affiora in ogni piega della performance. Poesia che nei tempi oscuri e dolorosi che stiamo vivendo dice parole altre, interrompe il frastuono rimbombante aprendo spazi di silenzio in cui la meraviglia irrompe a mostrare mondi altri nel sorriso muto di un circense, nello sguardo di un uomo/bambino, nella meravigliosa cornice di composizioni floreali, nella musica, nel dire poetico.
E la gioia porta dentro di sé il seme dell'amore.
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