sabato 23 maggio 2020

Incubo teatrale - Racconto/critico


 

L'incuba riguardo lo spettacolo "Hate Radio" di Milo Rau, visto al "Città Cento Scale Festival" a Potenza il 4 dicembre 2018.


 


Notte. Luce spenta, tanta speranza che, questa volta, i tuoi occhi possano chiudersi e partire per il mondo dei sogni. La valeriana l'hai già ingurgitata e come in camera operatoria aspetti l'effetto dell'anestesia perché si possa procedere all'operazione.
Non c'è verso, non ce la fai. Questa volta la tua mania teatrale ti ha fregato. E non credo che dormirai felicemente. C'è tanta rabbia. Tanti interrogativi insoluti. Si tratta di genocidio e teatro e i tuoi occhi così come le tue orecchie rimbombano dell'assurdo o meglio di come la ferocia assurda possa manifestarsi nella banalità della vita quotidiana.

Maledetto! Maledetto "Città Cento Scale Festival" e la sua idea di programmare "Hate Radio" di Milo Rau, uno dei registi più interessanti dell'attuale panorama europeo con la sua idea di teatro politico.
Quella strana agitazione patita durante lo spettacolo sta ancora qui, gira dentro, si arrotola nello stomaco e sale al cervello. Ti spalanca gli occhi.


La situazione è stata più coinvolgente del "necessario", contrariamente a quanto ti capita ultimamente a teatro. Colpa forse del sovrappiù di realtà. La ricostruzione, grazie proprio alla finzione, è stata più vera della realtà.

O forse perché ti sono ritornati in mente gli anni trascorsi a fondare o a frequentare "radio libere". Quel box piantato in mezzo alla bella sala del museo archeologico di Potenza con dentro tavoli, mixer e microfoni ti hanno riportato ai tempi (utopici) in cui la politica trovava altre modalità libere di espressione. E tutto questo stride.

O forse perché quel dramma storico l'hai rimosso e ti senti così vile e colpevole. Anche tu, come un "buonista" di merda, davanti al male, alla sopraffazione del male hai girato subito la testa dall'altra parte.
Politica, certo è la politica che ti manca, e lo spettacolo è politico radicalmente politico sino a mettere in discussione la presunzione della nostra umanità.

-Perché urla, perché balla, cosa dicono, ma veramente bisogna ammettere che tutto questo sia veramente, cioè realmente accaduto? -

Da spettatore sei stato catapultato nell'interno di RTLM/Radio-Télévision Libre des Mille Collines, stazione radio ruandese che ha giocato un ruolo cruciale nel genocidio della minoranza Tutsi nel 1994. Un milione di vittime sotto gli occhi ignavi e complici del mondo.
Dio mio! Quelle parole farneticanti ancora rimbombano e fanno eco a molte altre all'ordine del giorno che proiettano oscure ombre sulle azioni di tanti.


-Ma che dice quel bambino? Ha solo undici anni: "gli scarafaggi si trovano vicino alla scuola, stanno fuggendo, mandate qualcuno". Speaker: che canzone vuoi ascoltare?" E giù risate. Ma che mi balla quello! -

Milo Rau lo dice: "non si tratta più soltanto di ritrarre il mondo. Si tratta di cambiarlo. L'obiettivo non è quello di rappresentare il reale, ma di rendere reale la rappresentazione stessa".

-Ma che dicono? Parlano a sproposito di democrazia, esaltano capi militari e politici, citano Machiavelli, Robesperre, Arafat e chi ne ha più ne metta.
"Gli scarafaggi devono essere sterminati" e quello balla e balla. -


Razionalizzi, pensi è solo uno spettacolo. Ti accorgi, però, che gli stessi attori sono autentici testimoni di quello che è accaduto e tu pensi al loro coraggio, alla forza, al training che hanno dovuto sopportare per giocare la parte dei carnefici. E questo rende ancora più inquietante il tutto.


-Ma che dice quella giovane donna? Perché non si sta zitta, perché fa la delatrice e perché saluta con la sua famiglia come se fosse in discoteca?-

Ti sollevi a metà nel letto. Razionalizzi, almeno ci provi, e nel frattempo ti alzi. A intuito cerchi qualche libro che possa aiutarti a capire, per trovare una spiegazione. Ne prendi tra le mani uno letto qualche anno fa. È di Guido Rampoldi con il titolo "L'innocenza del male", un sforzo per capire cosa era successo nell'ex Jugoslavia. Lo posi sul bordo del mobile letto, tenendolo sottocchio come un piccolo tesoro e poi vai su internet a ricostruire le vicende.

"Certo si dovrebbe - dici tra te e te- ricostruire storicamente e politicamente quanto è avvenuto in una realtà, quella dell'Africa subsarariana, percorsa da endemiche guerre giocate sia durante la guerra fredda dalle superpotenze sia per assetti geopolitici più recenti. Nel Ruanda la rivalità anche bellica tra Tutsi e Hutu è precedente alla tragedia sviluppatasi tra l'aprile e il luglio del 94".
Scorrendo su internet scopri così che sicuramente furono le manipolazioni del colonialismo a introdurre una connotazione identitaria divisiva e potenzialmente conflittuale tra due gruppi che, in effetti, condividono la stessa lingua, la stessa organizzazione sociale e gli stessi valori religiosi cristiani.

Lo spettacolo è durato circa due ore e non ti ha permesso di sfuggire a quanto succedeva nonostante la difficoltà delle diverse lingue parlate e delle soprascritte fino a rasentare la sofferenza fisica e l'insofferenza psicologica. E quella sensazione ce l'hai ancora addosso, una insofferenza che riguarda il mondo perché gli interrogativi di fondo sul perché ciò sia avvenuto e sulla possibilità sempre presente del genocidio sono inevitabili.


-Balla continua a ballare, a urlare: "sterminateli gli scarafaggi, e vai con la musica". -

Avevi appena chiuso gli occhi e d'un tratto sobbalzi perché sbatti contro quel vetro della cabina radiofonica. Ti ritrovi dentro. Fai lo speaker e parli e metti musica e come una liquido nero ti spandi, entri nei canali fisici e mentali. Sei un grande blob, assorbi ciò che ti capita, digerisci tutto e tutti in una grande poltiglia ribollente.

Sobbalzi, ti tocchi sentendoti appiccicoso e viscido, nel frattempo ti ritornano le parole dei testimoni. La trasmissione radiofonica è finita, ti guardano in soggezione e uno di loro dice: "Come è possibile tale indifferenza di fronte alla morte e alla efferatezza?"
Domanda che diventa ancora più inquietante perché lo sguardo ti cade sul tuo IPad e sentì il brusio dei social. Tutti sono protagonisti, pensano di appartenere ad un mondo che di fatto non posseggono, vivono in una realtà schizofrenica, in cui la rivendicazione d'identità è aspramente giocata sull'aggressione e la negazione dell'altro.
E ti chiedi, toccando le tempie e infilandoti le dita nei capelli, quanto di tali atteggiamenti - e con quale rapidità -  possono trasferirsi dalla virtualità alla realtà, al cospetto ormai di abili "manipolatori", di algoritmi che riescono a profilare chiunque e coinvolgere in realtà apparentemente desiderate.

Su questo filo corre il drammatico tono conclusivo di una delle vittime-testimone-attore il quale afferma, tragicamente, che altri genocidi ci saranno.
Il tuo pensiero va a quel genocidio sottaciuto che attraversa prima di tutto le vie del Mediterraneo farcito di slogan del tipo "aiutiamoli a casa loro".

I tuoi occhi sono spalancati sul buio. Sul buio dell'umanità.

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