In questo momento in cui lo spettacolo e la cultura sono in grande agitazione e anche pieni di speranza con la riapertura di cinema e teatri (anche se con i limiti dovuti al covid), mentre siamo alle prese con la tredicesima edizione del Città Cento Scale Festival voglio fare (e riproporre) alcune mie riflessioni sui tempi che viviamo rivolgendo l'attenzione in modo particolare alla regione in cui vivo ed opero.
Sono sotto gli occhi di tutti le gravi difficoltà in cui si trovano tutti i lavoratori (artisti e maestranze) dello spettacolo vittime, nonostante le manifestazioni di disagio, di un pregiudizio sostanziale sulla cultura e lo spettacolo intesi come il mondo del divertimento e dunque superfluo per chi lo fa e per chi lo fruisce.
Ancora più grave è non vedere il lavoro che c'è dietro al prodotto finito, cioè i lavoratori che s'impegnano, investono e rischiano sul proprio futuro in un mondo che per la maggior parte è fatto di precariato. Altro pregiudizio è che non produrrebbe ricchezza, cosa chiaramente falsa. Infatti non si tiene conto del valore che la cultura nelle sue varie forme porta con sé in termini di crescita e consapevolezza individuale e sociale nonché del fatto che i territori in cui la cultura è ampiamente presente nel tempo acquisiscono valore che si traduce anche in valore economico e in migliore qualità della vita.
Ma questa cecità è tutta della politica in generale, ovvero di una politica che guarda alla cultura come una passerella o solo dal punto di vista dei benefici (opportunistici) immediati senza sapere che le ricadute vanno ripartite su un tempo medio-lungo. Insomma si manca di prospettiva, si guarda all'immediatezza, al successo dei numeri poco alla qualità. Spesso emerge un certo narcisismo assessorile o amministrativo, con in pectore l'ambizione del direttore artistico.
Un muro di gomma contro cui si rimbalza in continuazione. Cosi nulla può crescere, migliorarsi ambire a dimensioni europee, perché nel corso del tempo gli investimenti e l'interesse pubblico diminuiscono, l'attenzione si sposta su eventi populistici trascurando il lavoro di scavo della cultura, a volte rischioso e sperimentale, che pone le basi per il futuro.
Così gli operatori culturali e dello spettacolo sono ormai nel più totale impasse, con tanti rischi di sopravvivenza per il presente e il futuro. E molti per sopravvivere si adeguano alle circostanze con prodotti non sempre lungimiranti, che si consumano nell'immediato.
Le rivendicazioni e le proteste sono in atto con un'articolata piattaforma con la speranza che gli interlocutori politici e istituzionali prendano atto della drammatica situazione.
Ci sono dei tentativi di risposta che ancora non hanno trovato una traduzione in opere e azioni e restano delle intenzioni che comunque vanno discusse tenendo presente quanto richiede il mondo della cultura e dello spettacolo dal vivo.
Per quanto riguarda il comune di Potenza rinvio a quanto detto in altre occasioni e su cui tornerò in un'altra volta (vedi inaugurazione della edizione passata del festival).
Per quanto riguarda la Regione Basilicata abbiamo ascoltato con attenzione quanto esposto dal delegato alla cultura regionale, sulle linee programmatiche, la Consigliere Dina Sileo, che ha parlato di una rimodulazione sia della legge 37 regionale che della fondazione Matera 2019.
Cogliamo la buona volontà e sono convinto che alcune cose vanno cambiate e altre migliorate. Ora in merito a quanto sentito mi preme sottolineare alcune cose.
La cultura e lo spettacolo sono espressioni di libertà e creatività ed è solo sotto tale condizione che possono svilupparsi e dare il meglio di sé. Di loro se ne devono occupare persone che sono dentro le questioni spinte dalla voglia di essere al servizio di e non mettersi al posto di.
In tal senso bisogna costruire sportelli e uffici di supporto, che semplificano procedure, regolamenti, accessi nella pari opportunità.
È necessario un ufficio dedicato, o un assessorato che gestisca un fondo specifico della cultura e dello spettacolo cospicuo e non residuale, non sottoposto all'arbitrio e all'incertezza ogni anno, con soldi che appaiono e scompaiono senza motivazioni mettendo a rischio le attività programmate e realizzate, o impedendo di formare eccellenze o consolidare, frustrandole sistematicamente, le già esistenti.
La legge 37 non deve essere scardinata, va migliorata facendo in modo che i tempi di finanziamento vengano rispettati, per garantire la programmazione in tempi utili e la possibilità di fare da sponda per altri finanziamenti nazionali, europei e di privati. Vanno anche rivisti i parametri di finanziamento oggi eccessivamente restrittivi rispetto alla realtà in cui vivono i vari operatori, che sono costretti a fare i gamberi retrocedendo di anno in anno.
Inoltre, come sembra essere già nell'intenzione, bisogna cercare di rendere possibile la produzione di spettacoli e opere che possano avere circuiti nazionali e internazionali per far si che la Basilicata, che ha una notevole tradizione teatrale possa giocare un ruolo più qualificato oltre la fruizione e senza correre il rischio di perdere fondi nazionali (si veda questione residenze).
Per quanto riguarda la Fondazione Matera Basilicata 2019 sono d'accordo che bisogna qualificare la sua mission che deve avere come orizzonte la Basilicata e non solo la città di Matera, con la speranza che si stabilisca un proficuo rapporto con il capoluogo regionale, Potenza, rapporto evitato nel passato per incapacità di prospettive e per beghe di "politica territoriale". Bisogna stare attenti però a non creare un altro ente accentratore di narcisismi e di spesa pubblica.
Certo sono solo alcuni aspetti, c'è molto altro su cui riflettere.
Stiamo organizzando la tredicesima edizione del Città Cento Scale Festival, e le difficoltà accennate sono tutte presenti.
Il nostro è un atto di coraggio, e ce ne assumiamo i rischi. Non possiamo cedere e perdere il capitale culturale, umano e lavorativo che in tutti questi anni si è accumulato. Sarebbe un arrendersi al cinismo dei tempi. La cultura la si fa non la si predica, solo in questo modo si creano condizioni per resistere al conformismo che appiattisce l'esistenza comunitaria, che si arrocca su identità escludenti e pericolose.
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