mercoledì 27 aprile 2022

Note a Margine su “La miseria simbolica. 1_ L’epoca iperindustriale” di Bernard Stiegler



Ho lette il testo di Stiegler "La miseria simbolica. 1_ L'epoca iperindustriale", edito da Meltemi (2021) nella collana Culture radicali, con una interessante introduzione di Rossella Corda, che ricostruisce le trame della riflessione dell'autore nel contesto più vasto del suo pensiero.
Di Stiegler e il primo testo che leggo, se non articoli su di lui in modo sporadico. Confesso che la lettura del filosofo francese non mi é risulta facile, a causa del suo linguaggio complesso e ricco di riferimenti non sempre esplicitati, se non per chi già è dentro la koinè linguistico-filosofico dell'autore. Ho tratto alcune annotazioni solo su poche cose che riguardano soprattutto il capitolo 2, perché ritengo che alcune analisi ci permettono di comprendere il mondo nel quale viviamo (anche dell'attuale guerra) con particolare riferimento ai media e ai social network.

Sono solo appunti, schizzi d'idee senza la pretesa di discutere l'ampio pensiero di Stiegler, che non conosco. Alcuni spunti, o suggestioni di riflessioni (o espansioni), che ho voluto mettere per scritto per mantenerli presenti e magari riprenderli in seguito. Spero che abbiano una certa utilità.

Per chi volesse ampliare le conoscenze di Stiegler invito a seguire il pregevole lavoro di cura e pubblicazione degli scritti che sta facendo il Gruppo Ippolita (nella direzione della collana Culture radicali - Meltemi)

Sfondo

Sulla questione della tecnica si è giocata molta parte della filosofia del novecento. Il filosofo che ha dato maggiormente l'impronta è stato Heidegger, soprattutto dopo la cosiddetta Kehre (svolta) del suo pensiero, che vede la tecnica come compimento della metafisica, caratteristica fondamentale della civiltà occidentale.

Il pensiero occidentale che trova il suo inizio nell'antica Grecia acquisisce un particolare destino quando esso "si dimentica" l'essere a favore dell'ente. Heidegger qualifica questo evento come lo stabilirsi della differenza ontologica. La tecnica ne è il suo compimento. Infatti l'ente, ciò che viene alla presenza si determina come oggetto,
catturabile e manipolabile.

La tecnica, nella attuale situazione si pone come gestall (impianto, imposizione). Qualcosa dunque che opera sul mondo, lo dispone in sua funzione e ne dispiega l'organizzazione.

Con riferimento alle modalità del pensare, Heidegger contrappone il Pensiero Calcolante al Pensiero Meditante. Nella contemporaneità occidentale ormai il pensiero calcolante, oggi si direbbe della tecno scienza, predomina rispetto al pensiero meditante, che trova (quale alternativa) il suo luogo di elezione nell'arte, in modo particolare nella poesia, come accadere
dell'apertura della verità (aletheia), che si manifesta come la cosa non ridotta alla pura oggettualità, ma apertura alla molteplicità dei significati e delle relazioni con il mondo.
La posizione Heideggeriana ha dato una tonalità filosofica negativa nei confronti della tecnica, che ne ha
accentuato l'aspetto critico, se non apocalittico in molti pensatori[1].

Oggi la questione della tecnica risulta ancora più decisivi a causa delle dirompenti scoperte scientifiche che entrano sempre di più dentro la dimensione vitale e "cerebrale", così  come determinanti diventano le problematiche provenienti dal mondo della natura (questioni ecologiche e della vita). Inoltre queste questioni non possono essere svincolate dai rapporti di dominazione che condizionano la nostra società (basti pensare attualmente all'imporsi con evidenza dello stato di guerra e quanto l'apparato scientifico tecnologico conti per gli armamenti, il controllo e la comunicazione).
Di fronte a questo sembra crescere, almeno nel dibattito corrente, le contrapposizioni tra "favorevoli" e "contrari". Si è almeno aperte una discussione critica sui "limiti " ormai raggiunti, su un futuro che appare molto precario.

Tra questi molti, nonostante sottolineano nell'analisi gli elementi fortemente negativa della "dominazione" tecnica entro l'attuale società, ritengono che altre strade sono possibili se si acquisisce un punto di vista che superi
un pensiero dualistico così come prevalente nel pensiero occidentale. Tra costoro risulta interessante il pensiero di Stiegler.

Inserendosi dentro la "tradizione" di pensiero che va da Bergson a Deleuze e Derrida, come particolare
riferimento a Simondon, Stiegler, cerca di mettere a fuoco ciò che caratterizza la tecnica, nella ipermodernità, come lui preferisce dire rispetto al termine più in voga postmodernità. Tecnica e modernità sono strettamente intrecciate e per Stiegler siamo di fronte ad un ulteriore passaggio della modernità.

Individuo, società tecnologia

Per Stiegler, in generale, si tratta di comprendere come la dimensione tecnica giochi un ruolo (fondamentale) nella determinazione del rapporto individuo società, entro una forma di "produzione" che introietta in sé non solo l'aspetto fisico ma anche "spirituale ed emotivo" grazie alle nuove tecnologie della computazione. Il salto riguarda il piano estetico "come" riconfigurazione dell'essere individui entro un mondo e una società, che secondo Stiegler manifesta un basso tasso di simbolico che condiziona la percezione e le modalità di essere nel mondo.
Lo sforzo di Stiegler si pone su due piani: quello Epistemologico (nel senso di Bachelard) e quello epistemico (nell'accezione data da Foucault). Si tratta di indagare le forme epistemologiche che strutturano il discorso tecnico e l'influenza delle forme di sapere-dominio che condizionano i modi di vita [2].

Un pensiero che decostruisce i parametri categoriali per individuarne i limiti interpretativi entro un'azione/pensanteche si esplica nella forma della "ricerca azione", per segnare percorsi alternativi.
Per Stiegler diventa essenziale il piano dell'estetico, dove con "estetica" si fa riferimento, secondo
l'origine del termine, alla sensibilità, che pone in relazione il soggetto con il mondo nella dimensione interna ed esterna, determinando le modalità di presenza nel mondo [3].

Stiegler, cerca di comprendere come lo sviluppo del digitale e dei socialnetwork operino una sorta di "mutazione antropologica", o per dirla in altri modi determinano una "nuova antropogenesi"(per riferirsi ad un linguaggio antropologico presente nel testo), per cui gli individui nella conformazione dei modi di essere e agire entro la società sono sostanzialmente irrelati perché viene a destrutturarsi e a de-significarsi il rapporto tra singolarità e comune come precipua "operazione/calcolo" tecnico/scientifico.

Proprio il simbolico è per Stigler il punto nodale, in quanto esso è il "medium", che permette l'individuazione.  A partire dal piano dell'estetico, cerca di dimostrare come l'individuazione, oggi, trova un limite proprio nella riduzione del simbolico messo in atto, che favorisce la "costruzione" di individui "irrelati e sincronizzati", deprivati di spazi cui relazionarsi al sé (privazione dell'inconscio) e al sociale entro un "medium simbolico comune", come spazio del riconoscimento, del convivere e dell'azione libera.
Con i saggi-conferenza, contenuti in questo testo "la Miseria Simbolica", Stiegler sviluppa e testa categorie analitiche che possano spiegare come sia possibile assoggettare individui ad un sistema produttivo che spinge alla uniformità di comportamenti finalizzati al sistema di consumo e produzione, entro una dimensione esistenziale privata di protagonismo sociale. Si tratta di portare alla luce quei dispositivi mentali, comunicativi e culturali che trovano il loro punto di appoggio proprio nell'evoluzione tecniche, nei sui dispositivi teorici e pratici, così come ben si integrano oggi esemplarmente nel marketing.
Stiegler si rivolge principalmente a Simondon, in merito al principio di individuazione, di cui rimodella alcuni passaggi facendo riferimento al processo di ritenzione e memoria mutuato dalla fenomenologia Husserliana nella determinazione della coscienza/tempo. E un altro riferimento significativo risulta Freud per le considerazioni sul narcisismo primario e il desiderio.

In sintesi Stiegler tenta di spiegare come, attraverso la "civiltà" del calcolo sia possibile dar forma ad una società del controllo che destruttura e ristruttura l'individuo, negli aspetti psichici e sociali resi funzionali all'attuale sistema economico del capitalismo finanziario, le cui forme di produzione si sono spostate sul piano dei servizi e dell'"autonomia imprenditoriale".

Espansione su Simondon

Il riferimento a Simondon risulta importante. Simondon è stato il pensatore che ha cercato di coniugare il pensiero filosofico con la scienza del novecento in particolare con la relatività, quantistica,
termodinamica e scienza dell'informazione per ricostruire, entro una dimensione antropologica e filosofica,
il rapporto tra uomo- società, tecnica-società-natura entro cui rileggere quanto sta accadendo e prospettare un potenziale futuro. Da qui la ripresa del principio di individuazione che, proprio attraverso alcuni modelli epistemologici, egli cerca di riportare alla reciproca correlazione individuo-comune. Per potere realizzare questo bisogna operare una rottura con gli apparati categoriali che hanno dominato nell'ambito scientifico e filosofico, il dualismo e il sostanzialismo, che trovano i loro presupposti più precipui in Aristotele, per la formulazione dell'ilomorfismo e Cartesio per la teoria delle sostanze e quale altro porlo di riferimento l'atomismo.

Per Simondon, onde modificare la presa sulla realtà bisogna superare tali prospettive, di qui il grande sforzo di riformulare il principio d'individuazione, che in filosofia, ha il compito di determinare la possibilità della individualità. L'individualità, per Simondon non si caratterizza quale sostanza da cui partire per in seguito determinare un universale. Essa si caratterizza come una fase di un comune preesistente (che lui chiama pre-individuale) di cui l'individuale (singolare) ne è una manifestazione potenziale, senza esaurirne tutte le potenzialità.[4]

"È possibile supporre che il divenire sia una dimensione dell'essere, corrisponda a una capacità che l'essere ha di sfasarsi rispetto a se stesso, di risolversi sfasandosi; l'essere preindividuale è l'essere in cui non esiste fase; l'essere in seno al quale si compie una individuazione è quello in cui una risoluzione appare per la ripartizione dell'essere in fasi, ciò che è il divenire; il divenire non è un quadro in cui l'essere esiste; è dimensione dell'essere, modo di risoluzione di un'incompatibilità iniziale ricca di potenzialità". [5]
 

Stiegler -Simondon

Stiegler mette sotto la lente d'ingrandimento il principio d'individuazione, come esso si attua (cioè manipola) in un capitalismo universale che trova sostanza nella tecnica così come essa si dispiega nel conformare la società del controllo.

Intreccia così una duplice analisi da una parte, attraverso un percorso diacronico, spiegare come la "calcolabilità" sia qualcosa che accompagna l'uomo dalla sua antropogenesi e trova una sua conformazione precisa nella cultura occidentale (qui è presente a mio avviso il sottofondo heideggeriano). E nello stesso tempo come i processi di "discretizzazione" diventano fondamentali per la strutturazione della società. Essi (letti attraverso l'antropologia di André Leroi-Gourhan e l'analisi linguistica della grammatizzazione di Sylvain Auroux ) portano a una forma di strutturazione della società moderna, che si dota di dispositivi di controllo sempre più computazionali (il riferimento è a Foucault) per arrivare alla società del controllo cibernetico.

Dal punto di vista sincronico si sofferma ad analizzare come i "sistemi di controllo" operano proprio sui processi di ritenzione, come desunti da Husserl per la costituzione della memoria individuale e collettiva e sul narcisismo primario come elaborato da Freud. Due "meccanismi" costitutivi su cui i media in generale e i nuovi sistemi di profilazione dei big data operano (sui processi di individuazione) per conformare gli individui all'apparato consumistico produttivo attraverso forme non solo di assoggettamento ma anche di elaborazione di consenso. La raffinatezza "tecno scientifica" permette sia di replicare modelli e stili di vita standard sia "operare" sulla libido desiderante.

Stiegler parla di ritenzione terziaria, aggiungendo un passaggio in più ai due processi di ritenzione primaria e secondaria di Husserl.

Parentesi su Husserl [6]

Un aspetto importante della fenomenologia husserliana riguarda la riflessione sulla memoria e la coscienza interna del tempo. In particolare risulta interessante come va pensata la relazione tra ricordo e ricordato, quale legame di corrispondenza esiste tra la percezione di un certo oggetto e il suo ricordo. Come s'instaura tale relazione, e come si mantiene poi all'interno dei successivi atti di rimemorazione.

Temi complessi, che non mi sento di affrontare in questo contesto per saggiare la coerenza della interpretazione Stiegleriana, mi limito a far notare lo sforzo che l'autore fa nell'aprire il discorso husserliano a quello dell'individuazione simondiano.

Nel paragrafo Individuazione e dispositivi ritenzionali: le tre ramificazione dell'individuazioni (p. 86) Stiegler ricapitola schematicamente in otto punti il processo d'individuazione in cui diventano significativi i passaggi 6-7-8, in cui si analizza la relazione io - noi e "come essi si relazionano al sistema tecnico, ciò che sostiene la possibilità di costituzioni di dispositivi ritensionali… E questi dispositivi ritensionali sono ciò che condizionano i collegamenti tra l'individuazione dell'io e l'individuazione del noi in uno stesso processo di individuazione psichica, collettiva e tecnica". I processi di ritenzione husserliani sono processi fondamentali per la costituzione della coscienza individuale. Il paragrafo successivo (L'individuazione come selezione) sintetizza un passaggio significativo che apre al discorso successivo sulla ritenzione terziaria. Dice Stiegler:

"ore queste ritenzioni sono delle selezioni: voi non trattenete tutto ciò che può essere ritenuto. Nel flusso di ciò che appare alla vostra coscienza, voi operate delle selezioni che sono delle ritenzioni in sé; queste selezioni si fanno o attraverso i filtri in cui consistono le ritensioni secondarie conservate dalla vostra memoria e che costituiscono la vostra esperienza".

Ora a questo che è il percorso di apparizione della coscienza (io) secondo Husserl bisogna aggiungere un elemento di novità che lui chiama ritenzione terziaria determinato dall'aspetto tecnico caratterizzante l'essere umano. Ma qual è il punto dirimente e carico di novità, che modifica fondamentale il taglio husserliano?

Mentre il processo messo in atto da Husserl qualifica l'atto della ritenzione come una ripetizione (ciò che tratteniamo della nostra esperienza si ripresenta) ma nel ripresentare la ritenzione primaria essa quanto ritenzione secondarie si presenta come fenomeno differente, c'è si può dire identità ma non sovrapposizione (c'è uno spazio d'ombra entro cui agisce il vissuto e l'esperienza personale, che non fa un calco identico del passato che si ripresenta nella coscienza. Spazio dell'immaginazione)[7].
 
Con l'emergere della ritenzione terziaria (dovuta all'apparato tecnico che si qualifica come riproduttivo massmediologico e informatico), si ha una ripetizione dell'identico. In tal senso la ritenzione terziarie, se ho ben capito, riduce e il processo di selezione e del vissuto esperienziale (ne assottiglia lo spessore), presente nella ritenzione primaria e secondari.

La ritenzione terziaria ha a che fare con ciò che Stiegler chiama oggetti temporali. La nostra coscienza è flusso temporale. La caratteristica degli oggetti temporali è che sono costituita dal tempo del suo fluire, come una melodia, un film, una trasmissione radiofonica. Esso non è stabile come altri oggetti (cose) che non scorrono, ma coincide con il flusso della coscienza. "l'oggetto temporale, per esempio il film, ha la vostra stessa struttura mentre mi ascoltate e, nella stessa misura voi siete delle coscienze: voi stessi, in questo stesso momento, vi state dissolvendo, vale a dire che state scomparendo per potere apparire – ciascuno differentemente e ciascuno in rapporto singolare al suo proprio passato, al suo proprio passaggio, e anche al proprio avvenire." (p.47)
In qualche modo il contenuto della ritenzione terziaria diviene un "oggetto temporale" con possibilità di essere soggetto a manipolazione, come esemplificato dall'industria culturale.

Infatti la tecnica della riproducibilità (nuovi sistemi mnemotecnici) permette la ripresentazione dello stesso oggetto temporale indefinitamente grazi a supporti "esterni" e "meccanici".

È questo un aspetto che ha assunto una caratterizzazione maggiore con l'apparire di tecnologie d'informazione e di comunicazione che producono una particolare forma di ritenzione terziaria che va a trasformare il processo d'individuazione.

Se in epoche precedenti dello sviluppo della modernità il rapporto uomo, macchina-produzione si esplicava nel condizionamento fisico e del tempo lavorativo, che caratterizzavano i processi di alienazione, con i nuovi apparati tecnologiche le cose sembrano cambiare profondamente, da segnare un ulteriore passaggio della modernità.

"Il carattere determinante dell'iperindustrializzazione, in quanto essa consiste nel controllo di tutti i processi di ritenzione, compreso i più intimi, compresa la coscienza dei corpi, poiché essi sono, in principio, essenzialmente intimi, e si trovano ciononostante privati della loro intimità" (p.97).

Questo comporta un assottigliarsi e della "profondità" del soggetto e dello stabilire una relazione ad un noi, che scompare dall'orizzonte. In altri termini (miei non di Stiegler) è come se si operasse una sorta di regressione ad uno stato primario, che chiude l'individuo entro una dimensione pulsionale e coattiva, non in grado di rappresentarsi e rappresentare un mondo altro, che si struttura entro la dimensione del consumo. Tale incapacità di "proiezione" in altro impedisce l'individuazione.

"Il noi è gravemente malato: la subordinazione dei dispositivi ritensionali, senza cui non c'è individuazione psichica e collettiva, ad una criteriologia totalmente immanente al mercato, ai suoi imperativi divenuti egemonici, rende praticamente impossibile il processo di proiezione attraverso cui un noi si costruisce individuandosi" (p.99)

L'effetto complessivo che se ne ricava viene esplicitato appena più in là da Stiegler quando precisa come il controllo delle ritenzioni terziarie che retroagiscono sulle primarie e secondarie attraverso gli oggetti temporali (prodotti dall'industria culturale) produce un

"processo di ipersincronizzazione tale che i consumatori degli oggetti temporali industriali, in cui consistono i programmi audiovisivi, tendono asintoticamente ad adottare le stesse ritenzioni secondarie, ovvero ad effettuare le stesse selezioni delle ritenzioni primarie. Da qui risulta una perdita di singolarità degli individui, che diventano dei 'dividuduali', come sostenuto da Deleuze e Guattari, che è dunque una desindividualizzazione per cui la loro capacità narcisistica da prima si esaspera (compreso il caso dell'ipernarcisimo tipico di certi quadri di lavoro) per poi collassare: privati di singolarità, essi cercano di singolarizzarsi mediante artefatti loro proposti dal mercato, il quale sfrutta questa miseria propria del consumo e, portati a un narcisismo ad oltranza e vano, fanno l'esperienza del loro smacco, o, alla fine, perdono la loro immagine: non si amano più e si rivelano sempre meno capaci di amare. È una disfatta, e ciononostante prosperano Viagra e siti pornografici" (p.99)

Questo mi sembra uno dei nodi più significativi del testo nel definire la disarticolazione dell'individuo e la scomposizione sociale quali fenomeni dell'incertezza, della precarizzazione, della disarticolazione dei linguaggi che fanno sì che i meccanismi di "riproduzione" e i processi di profilazioni deprivano gli individui della loro singolarità in funzione di performance pre-strutturate o comportamenti autocentrati, segnati da un narcisismo costruito da "profili" individuati e rinforzati attraverso big data, i quali possono accedere ad una quantità di informazione inesauribile attraverso i social, che offrono ambienti integrati ed integranti.

Infatti un altro passaggio significativo riguarda l'interrelazione degli individui nella rete che ne diventano elementi di innovazione e auto-adattamento, co-evolvendo insieme al sistema nel suo complesso.

"vi è così integrazione funzionale del consumatore (utilizzatore, destinatario ecc.) e della sua 'coscienza' in un ambiente associate (riferimento a Simondon), formato dalla nuova realtà tecnico geografica-umana …Quindi anche l'ambiente storico e simbolico è funzionalizzato, in modo che l'utilizzatore divenga una funzione del sistema di cui si serve" (p.107)

Tale "fenomeno" diviene paradigmatico per comprendere le trasformazioni profonde del mondo produttivo capitalistico, come attraverso "vasti processi di delocalizzazione" (espressione mia) riconfigura tutto il sistema individuale-comune, privato-pubblico, tempo di lavoro-tempo di non lavoro, citta-fabbrica, reale-virtuale, naturale-artificiale.

"Poiché la prima questione che si pone è l'iperindustrializzazione come industrializzazione della vita quotidiana, che formatta questa vita quotidiana 'di ciascuno' come funzionale (in particolare tramite protesi che servono indifferentemente alla vita lavorativa e alla vita privata, come il telefono portatile), per metterla al servizio della vita imprenditoriale, dell'impresa che, nella società di controllo, si è sostituita alla fabbrica. La miseria simbolica è tanto quella di questi quadri e simili 'risorse', quanto dei ghetti popolari delle zone urbane".

Il testo offre molti spunti di riflessioni, che vanno a costituire la società iperindustriale nei suoi aspetti più salienti.

Il quadro complessivo così composto pone (ci pone) alcuni interrogativi, che in parte sono presi in considerazione dallo stesso Stiegler.

Quello più rilevante riguarda il "limite" da superare. Poiché il quadro tracciato da Stiegler fa emergere "un sistema" omnicomprensivo, entro cui il "gioco" dominante-dominato sembra saldarsi profondamente ci si chiede quale possibilità si può dare che dal "dentro" sia possibile trovare un "fuori". Espressi in altri termini la domanda si pone altrimenti così: l'attuale sistema capitalista che sussume (e struttura) così profondamente entro le proprie maglie, sino ad annientarlo nella sua soggettività, il suo antagonista (secondo una logica passata ormai inutilizzabile) in che termini può essere "superato"?  È evidente che qui il termine superato, rifugge da qualsiasi formula di lotta di classe (come espressa dal marxismo) in quanto questo tipo di lettura non risulta prensivo rispetto alla "disarticolazione" e reintegrazione della reattiva così come Stiegler si è sforzata di fare. Ciò non implica una reazione da nichilismo reattivo di tipo nietzschiano. Si tratta invece di ripristinare il circuito della individuazione "interrotto" ponendo alla base la reazione con il noi, ad incominciare proprio entro quello spazio simbolico interdetto.

Ecco perché, per Stiegler, diventa importante il piano dell'estetico, entro cui poter operare forme di resistenze e attuare nuove modalità del sentire ed essere che contro la logica dell'accumulo e del consumo si orientino verso un noi. Il piano dell'estetico porta con sé uno scarto, che fuoriesce dall'economico in senso stretto, che riguarda invece la dimensione del dono, che apre forme diverse del sentire ed essere nel sociale.

Mi sembra che dietro tale discorso, che fa riferimento al mondo dell'arte, si intravvede la figura di Bataille soprattutto e tutto quel filone filosofico e antropologico del dono che ha cercato di caratterizzare la società umana non solo dal presupposto economico ma esplorando altre dimensioni della socialità, che sembra possano "scardinare" i paradigmi vincenti della società del capitalismo consumistico. Una forma di coltivazione di quegli elementi che non solo "rigenerano" la individualità (e qui ritorna Simondon) con forme a/economiche che superano il narcisismo primario per instaurare forme si socialità aperte, che colgano maggiormente la fragilità altrui tramite la "filia", quale forma trasduttiva del comune, ormai "compromesso" dalla società del controllo economico/cibernetico.

Per quanto mi riguarda qui si apre un discorso, a mio avviso, non convincente, per una trasformazione sociale. Mi sembra in Stiegler manchi una chiara idea di "forma sociale", e su quali strutture bisogna agire (sovvertire) per mutarla profondamento. Una riflessione da farsi.




[1]
Chiaramente il confronto filosofico è molto più articolato solo se si pensi alla fenomenologia husserliana, alla scuola di Francoforte, al post-strutturalismo e da un altro versante a tutte quelle filosofie che si sono strettamente confrontate con il pensiero scientifico, da un versante epistemologico, della filosofia del linguaggio e delle forme di sapere. Così come molto vasto è il dibattito entro il pensiero dialettico marxista, con nuove letture marxiane sulla tecnica, società capitalista e rapporto con la natura.

[2]
"Bisognerebbe considerare il digitale da un punto di vista strettamente epistemologico, nel senso dato da Gaston Bachelard, ossia valutando le conseguenze del digitale sulla natura stessa dei saperi, ed epistemico nel senso foucaultiano, vale a dire integrando alla questione dei saperi quella dei poteri, dei modi di vita, delle rappresentazioni in senso lato, ecc. che fanno l'unità di un'epoca e la singolarità del suo spirito". (Intervista, "Il blues del Net", ora contenuta nel volume B. Stiegler, Il chiaroscuro della rete, KE Edizioni, a cura di P. Vignola, 2014.)

[3]
Altri durante il novecento hanno ritenuto significativo l'estetica come elemento caratterizzante i sistemi di potere e di produzione che condizionano una società, basti pensare a Benjamin, Adorno, Debord, con la società dello spettacolo, a Baudrillard con il sistema dei simulacri o a Luc Boltanski e Ève Chiapello tutti costoro si sono confrontati con il piano dell'arte dei media e delle tecnologie della comunicazione in senso più vasto.

Sicuramente Boltanski e Chiapello a partire da Max Weber hanno dimostrato con "Il nuovo spirito del capitalismo" come gli aspetti di "liberazione", creatività e destrutturazione provenienti dagli elementi di contestazione e ribellione siano stati assunti entro una trasformazione e ricomposizione capitalistica che ha trovato nello sviluppo delle nuove tecnologie e nell'organizzazione aziendale punti di riorganizzazione fondamentali e nel definire visioni del mondo e modi di essere.

[4]
Per una sintetica illustrazione sul principio di individuazione in Simondon si veda Giuliano Antonello, "IL problema dell'individuazione secondo Simondon", in Prosapettiva Filosofica:https://giulianoantonello.wordpress.com/2018/03/28/il-problema-dellindividuazione-secondo-gilbert-simondon/

[5]
G. Simondon, L'individuazione psichica e collettiva, Roma, Derive Approdi, 2001

Per reperire un immagine filosofica, si potrebbe pensare all'Apeiron come rintracciabile in Anassimandro

Nella concezione ilomorfica, l'individuo si determina per l'assunzione di una forma da parte della materia informe. Per Simondon questo crea un certo cortocircuito perché un principio che determina una individualità dovrebbe già essere una individualità, cioè ciò che dovrebbe essere spiegato, l'individuo, viene assunto come principio di spiegazione.

Bisogna dunque riferirsi ad una forma di relazione tra termini, non preposti, ma posti dalla relazione stessa.

"In quanto tale, non esaurisce le potenzialità dell'essere preindividuale e non può mai essere colto come una realtà

atomica, ma sempre come coppia individuo-milieu, termine che traduciamo non con "ambiente", ma con "fondo"

 

Il problema dell'individuazione va allora pensato come la ricerca della possibilità di un particolare tipo di relazione fra "termini" che siano, non preposti, ma posti dalla relazione stessa.

Simondon invece, pensando all'atto di individuazione senza accordare esplicitamente o surrettiziamente alcun privilegio all'individuato, sostiene una tesi radicalmente diversa: l'individuo è una realtà relativa, una fase dell'essere che presuppone una realtà preindividuale. In quanto tale, non esaurisce le potenzialità dell'essere preindividuale e non può mai essere colto come una realtà atomica, ma sempre come coppia individuo-milieu, termine che traduciamo non con "ambiente", ma con "fondo". Anche Simondon parla di ontogenesi, ma ne modifica il significato dell'individuo, opposta alla filogenesi come genesi della specie (opposizione tributaria di una concezione sostanzialistica dell'essere), ma ontogenesi come divenire dell'essere. Che l'essere divenga è sempre stato il busillis [il termine era usato come esempio emblematico di una errata divisione: in diebus illis veniva inteso come in die Busilli(s)] della metafisica tradizionale: essere e divenire come due incompatibilità da risolvere, vera mina da disinnescare se si vuol salvare la coerenza stessa e del pensiero e della realtà. Ma dividere l'essere e il divenire è appunto la fallacia metafisica che Simondon contesta. In accordo con una linea laterale, ma non secondaria, della tradizione filosofica, Simondon sostiene che l'essere è divenire. (Giuliano Antonello)

[6]
"La ‛temporalità' (die Zeitlichkeit) così come il tempo stesso che, secondo Husserl, regolano totalmente sia gli atti dei soggetti trascendentali che il mondo appresentato alla coscienza, occupano anch'essi un posto di rilievo nell'elenco dei concetti da lui qualificati con l'aggettivo ‛trascendentale'. Riprendendo già prima del 1898 le ricerche relative al tempo, in voga presso quasi tutti i discepoli di Brentano, Husserl vi integra, verso il 1905, i primi risultati della fenomenologia recentemente scoperta (v. Husserl, 1966, pp. 3-98). Ben presto queste analisi lo portano ad isolare la struttura di base di ogni coscienza interiore del tempo (das innere Zeitbewusstsein), che tratterà dopo il 1910 servendosi dei neologismi ‛ritenzione' (Retention) e ‛protensione' (Protention). Inoltre, già nel 1905 Husserl rileva e sottolinea che questa struttura, come del resto anche il ricordo (Erinnerung) e la rimemorazione (Wiedererinnerung; Reproduktion), svolgono un ruolo capitale non solo nella costituzione della durata (Dauer), ma anche in ogni oggettivazione operata dalla coscienza (ibid., pp. 40-73). Ma è solo verso il 1910 che Husserl colloca la temporalità e la temporalizzazione nel cuore stesso dell'io, rendendosi conto che il tempo ne costituisce la struttura di base. Il tempo, in effetti, regola il flusso della coscienza stessa, ed è parimenti la condizione di possibilità del ritorno riflessivo dell'io sulle sue attività (v. Husserl, 1950, pp. 80-82).https://www.treccani.it/enciclopedia/fenomenologia_%28Enciclopedia-del-Novecento%29/

[7]
Nella "percezione della melodia"… diciamo l'intiera melodia, melodia percepita, benché come si vede, percepito sia solamente il punto ora. Procediamo così perché… l'unità della coscienza ritensionale "tiene saldi" ancora nella coscienza i suoni decorsi stessi, e produce via via l'unità della coscienza relativa all'oggetto temporale unitario, alla melodia… L'intiera melodia… appare come presente finché ancora risuona, finché i suoni ad essa appartenenti, intesi in un unico contesto apprensionale, ancora risuonano.

 

Interviene dunque sempre un elemento di intenzionalità a definire l'unità globale di un accadimento vissuto, poiché è il significato complessivo della percezione temporale che definisce ritmo e durata di un accadimento presente. Ogni accadimento presente è dunque PASSATO - ricordo FUTURO - aspettazione PRESENTE - percezione RITENSIONI PROTENSIONI ORA sempre analizzabile in una fase presente-presente (l'impressione), in una appena-passata (la ritensione), ed in una che-sta-per-accadere (la protensione): L'atto costituito, composto di coscienza d'ora e di coscienza ritensionale è percezione adeguata dell'oggetto temporale. Quest'ultimo dovrà includere differenze temporali e le differenze temporali si costituiscono appunto in quegli atti che sono la coscienza originaria, la protensione e la ritensione. La ritensione (detta anche da Husserl "ricordo primario") è dunque quell'atto dell'apprensione temporale che ci rende consapevoli, nell'"adesso" del presente, delle fasi temporali immediatamente passate.

 

L'ora-di-suono si tramuta in suono che è stato, la coscienza impressionale fluisce e trapassa costantemente in una coscienza ritensionale sempre nuova, (…) coscienza dell'appena stato.

La pretensione, al contrario, è quell'atto dell'apprensione temporale che ci permette di anticipare fasi non ancora vissute, ma alle quali si tende nella continuità dell'esperienza temporale in base alle regolarità esperite nel vissuto. Il rapporto tra ritensioni e protensioni non è comunque simmetrico: mentre le ritensioni sono "piene", le pretensioni sono "vuote", e si riempiono nel corso della durata.


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