martedì 24 gennaio 2023

A Liliana Segre

Liliana Segre a pochi giorni dalla giornata della memoria si esprime con una certa amarezza.
"La gente non ne può più di sentir parlare di ebrei, tra pochi anni sulla Shoah ci sarà, nei libri di storia, appena una riga".
Ho pensato di scriverle, idealmente, una lettera in cui mostrare la mia stima e il mio affetto, nonché il mio impegno a non dimenticare l'orrore della Shoah. Ho messo dentro anche qualcosa di molto personale, prendendomi un po' di confidenza.

Cara Liliana,
il pericolo di cui parli esiste veramente. È vero il revisionismo coinvolge i libri di storia e la superficialità con cui i problemi vengono affrontati nella discussione pubblica induce alla dimenticanza grazie al meccanismo, subdolo, e implacabile di porre tutto e tutti sullo stesso piano.

Io sono convinto che la Shoah sia stato una tragedia per gli ebrei, ma contiene in sé anche il limite invalicabile che riguarda la dimensione oscura degli esseri umani, la violenza che può sempre esplodere, e anche la contraddittorietà e la "perversione" della nostra storia e cultura occidentale.

Non mi riferisco solo alle ideologie nazifasciste e razziste. Riguarda l'interrogativo su come sia stato possibile che nella moderna cultura occidentale, in cui vige la tolleranza, la democrazia e l'idea di fratellanza possa esserci stato un evento così tragico. Questo ci fa capire come la vigilanza, l'attenzione, la lotta non devono mai venire meno.

Io sono stato docente e tra le varie giornate celebrative, l'unica che ho sempre tenuto a celebrare con i miei studenti è stato il giorno della memoria, della Shoah cercando con loro un dialogo, per capire quale il pericolo sussistente nell'abbassare la soglia attentiva, morale, civile e politica perché "i mostri" possono tornare nella banalità dell'esistenza quotidiana e nella vita politica.

Certo segni di cedimento ce ne sono e di orrori se ne vedono tanti. Ci sono state e ci sono guerre etniche, d'invasione, di dominio geopolitico, ci sono ingiustizie sociali, sopraffazioni e schiavismo ma questo non deve farci perdere la memoria di ciò che è stata la Shoah proprio per segnare un limite al baratro nel quale si può precipitare e per ribadire che ogni uomo o donna, ogni popolo che soffre ha bisogno di giustizia.

Da docente ho cercato di fare il contrario della scuola che ho frequentato io, dove non si studiava il fascismo, il nazismo e la Shoah, neanche la nascita della Repubblica italiana. Si limitava a parlare del grande Risorgimento, con i nefasti echi di un malinteso è pericoloso nazionalismo.

La conoscenza dei tragici fatti mi è venuta dal cinema e poi dalla tv.
Immediatamente ho avvertito, vedendo quei film, disagio, paura e compassione per lo strazio e l'orrore dei campi di concentramento e sterminio, i forni crematori, le immagini dei bambini e dei maltrattamenti. Capivo con forte intuizione la portata della tragedia, che mi risultava insopportabile. In seguito, col crescere, lo studio e l'impegno sociale e politico quel sentimento si è tramutato in consapevolezza personale, intellettuale, civile e politica.

C'è però nel fondo qualcosa di più personale che ha agito nei sotterranei del mio inconscio. Nei film e nei documentari c'era un aspetto che mi ha sempre colpito più degli altri, la deportazione nei treni, in quelle terribili condizioni come raccontate da Primo Levi. Mi sono sempre chiesta il perché. La risposta forse sta in un antico e semi sepolto ricordo che riguarda mia madre, che ha la circa la tua età (aveva perché è mancata da poco).
È il ricordo di un viaggio per la Germania, riguardante la mia famiglia ai tempi delle grandi emigrazioni.
In una stazione italiana, che non rammento, in prossimità di Bologna o Firenze, fummo costretti a cambiare treno, forse per un guasto o una coincidenza. Ad un certo punto tutti, su indicazioni di qualcuno siamo cotsi verso un treno, che immediatamente si è sovraffollato. Eravamo tutti in piedi, stipati e schiacciati l'un l'altro, almeno questa era la mia sensazione da bambino spaesato, quando d'improvviso mia madre, che mi stava difronte, é crollata a terra presa da un mancamento. In quel momento ho avvertito profonda paura ed angoscia. Per me mia madre in quell'istante era morta. Lo spavento mi è restato dentro, tanto che ancora adesso prima di salire su un treno sento un po' d'ansia.

Ho raccontato questa mia esperienza perché sono convito che essa abbia contribuito a quella immediata empatia di cui parlavo prima. E anche perché se ognuno di noi scava dentro di sé sicuramente troverà una faglia da dove può intravvedere l'orrore e l'angoscia di cui possiamo essere vittime, che può avvicinarci alla tragedia altrui.

Ti ho raccontato questo anche come segno di amicizia, affetto e fiducia. Io continuerò a non dimenticare, ad impegnarmi che non accada di nuovo nessuna Shoah.

Sono sicuro anche, che col tempo, le cose potranno cambiare ma le tracce resteranno perché il seminato ha preso radice ed è di buona qualità.

Un abbraccio.

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