domenica 12 febbraio 2023

Del dire e tacere la poesia


Ecco il canovaccio del mio intervento in occasione della presentazione della nuova raccolta di poesie, "Nella luce di un'estate", di Vito Viglioglia, edito da Foto Travel Edition. Potenza 11/02/2023, auditorio Santa Maria del Sepolcro.

 Chiaramente il testo risulterà più definito in alcuni passaggi meno in altri, articolati durante la serata in dialogo con l'autore. 

Credo che sono qui soprattutto per una questione di amicizia più che per fare critica letteraria. Non mi permetterei e non ne sarei capace. Inoltre per potere imbastire una critica bisognerebbe avere una conoscenza più ampia di un artista e competenze specifiche di analisi testuali, cose a me precluse.
Ho scritto un piccolo dialogo sulla saggezza e amicizia (v nel blog [1]), nel quale prendevo come riferimento Aristotele, per dire che l'amicizia sta nel piacere di frequentare persone con cui può esserci un inter-esse in-comune (privo di utilità) basato unicamente sul piacere della frequentazione e lo scambio reciproco, dando eco ad affinità elettive [2]


Il modo di avvicinarmi alla lettura del testo di Vito è determinato, quindi, proprio da un moto affettivo e dall'avere posto la mia attenzione su ciò che si avvicina di più alla mia sensibilità. Soprattutto dando a me la possibilità di dire qualcosa senza avere la pretesa di fare interpretazione di quello che Vito voglia dire [3]
Per cui diciamo che il mio intervento si pone in modo dialogico e dialettico, coerentemente con i tempi in cui viviamo mentre ci arrovelliamo a confrontarci con un passato e un modo di essere presente che avvertiamo contraddittori e limitanti. Di qui il porsi in modo più o meno radicale la questione del senso e quanto di ciò che abbiamo ereditato abbia ancora validità e quali i nuovi orizzonti di senso da definire attraverso altre modalità di essere e dire. 

Commentare la poesia?
In generale voler spiegare le poesie è molto complicato. Il farlo ci espone a qualche ingenuità interpretativa. Allo stesso modo come a scuola ci dicevano di fare la parafrasi dei versi. Cioè riportare in "prosa" i versi poetici. Il risultato era obbrobrioso, con il sottinteso che se il poeta scriveva in quel modo era più un vezzo, una stranezza visto che le stesse cose si potevano dire in modo più piano. Inoltre l'insistenza sulle figure retoriche, in particolare sul significato metaforico riducevano le poesie a gioco di parole. 

Certo non è neanche vero che esiste la libera interpretazione come quando si dice sbrigativamente che ognuno la interpreta a modo suo. Si ha sempre un vincolo, e il vincolo è il testo. Testo e contesto inteso nella loro globalità. 

Che cos'è la poesia?

Prendo spunto da Montale, da una sua poesia che mi sembra adatta per il contesto e per alcune cose che vorrei prendere in considerazione nel testi di Viglioglia.

Montale in Xenia II (alla moglie Drusilla Tanzi):

Dicono che la mia
sia una poesia d'inappartenenza.
Ma s'era tua era di qualcuno:
di te che non sei più forma, ma essenza.
Dicono che la poesia al suo culmine
magnifica il Tutto in fuga,
negano che la testuggine
sia più veloce del fulmine.
Tu sola sapevi che il moto non è diverso dalla stasi,
che il vuoto è il pieno e il sereno è la più diffusa delle nubi.
osì meglio intendo il tuo lungo viaggio
mprigionata tra le bende e i gessi.
Eppure non mi dà riposo
sapere che in uno o in due noi siamo una cosa sola.

"La vera poesia rimanda sempre all'Assoluto, a quel «Tutto in fuga» che l'arte può solo suggerire. È il luogo in cui convivono paradossi e apparenti antinomie, dove Il dolore e la sofferenza fanno parte della gioia, la pienezza può riempire il vuoto nell'anima solo quando noi ne abbiamo coscienza e mendichiamo. Così si può viaggiare anche se bendati e immobili in un letto"

La poesia è un tutto , che si sostanzia nel dire, per quanto mi riguarda non riesco a pensare una poesia senza dirla. Però, nello stesso tempo, la poesia "gioca" con il silenzio perché in essa il linguaggio si misura con se stesso con i sui suoi limiti e sulla capacità di oltrepassarli (e si confronta anche con il fallimento del dire stesso). 
I poeti sono grandi perché sanno dire le cose oltre le cose stesse, donando "potenza" alla parola. La loro grandezza sta anche nel tacere, cogliendo i limiti che le parole portano con sé. Sta anche nell'inventare nuovi significati e ricercare ulteriori sensi che ci mettono in relazione con l'alterità con l'avvertenza, però, che di fronte all'alterità si possono dischiudere mondi, altre dimensioni del senso, che addirittura possono procurarci, per la loro inesauribilità, delle perturbanti vertigini.
Ho usato il termine inventare (inventare intensivo di invenire trovare, composto da in e venire) poiché è un termine che mantiene il senso del trovare e anche della scoperta, infatti una parola è portatrice di molteplici sedimentazioni e stratificazioni di significati nel corso della storia di una cultura e, e nello stesso tempo, può rinnovarsi dischiudendosi ad ulteriori significati, addirittura creandoli.
I poeti dice Heidegger fondono un linguaggio, ne sono il luogo originario (pensiamo a San Francesco, Dante, Petrarca).

C'è da dire un'altra cosa.
Nella "ingenuità interpretativa", a cui facevo riferimento prima, non si considera
la poesia come forma pluridimensionale dei linguaggi che non è solo parola portatrice di significato. La parola è legata indissolubilmente alla sua dicibilità sonora, ritmo-fonetica che apre a ulteriori dimensioni del senso.

Riferendomi al modo di poetare di Vito, credo, si possa, richiamare una formula, parlare di "pensiero poetante", che si pone alla ricerca del senso

Tenendo presente queste poche annotazioni in generale sulla poesia mi permetto di tracciare un breve e parziale percorso di lettura del testo di Vito.
Mi attengo in prima battuta ad alcuni "contenuti estrapolati", ab-soluti (sciolti) dal resto, senza voler dire presuntuosamente "cosa le poesie vogliano significare".
Ciò che emerge con molta chiarezza, anzi oserei dire in modo pervasivo è l'attestazione (manifestazione) di un amore "smisurato". L'aggettivo smisurato lo uso transitoriamente, solo per enfatizzare il discorso sull'amore.

Certo dire amore è quanto di più scontato si possa affermare, è la cosa più presente nelle canzoni, nei social, che sono gli attuali foglietti dei baci perugini. La cosa si fa più complicata se si pongono alcune domande: quale amore, verso chi, e come si dice l'amore?

E questo mi permette di entrare nelle poesie di Vito per tracciare un percorso diverso, ricca di sfumature, che sicuramente non sarò in grado di far emergere del tutto.
Bisogna stabilirsi in un luogo da cui è possibile tenere contemporaneamente presenti vari punti di vista e varie traiettorie dell'amore, che si rivela essere un qualcosa che va al di là di un semplice sentimento, un qualcosa che è anche cognizione, forma di sapienza, e nello stesso tempo rapporto con il divino.
Sussistono varie dimensioni entro cui queste cose si tengono. In particolare la dimensione personale, quella cosmica e quella mistica.
L'amore è il collante, o centro di gravità, che lega ognuna di queste dimensioni agli elementi che la compongono e nello stesso tempo è tensione attrattiva che porta verso un assoluto che le contiene e le mette in relazione
.
(Non voglio complicare le cose) Quali sono, nella loro immediata relazione gli amori che afferiscono a tali dimensioni? L'amore:
- per le persone che danno senso alla vita (figlia, moglie, padre, nonno …)
- Per la natura
- Per il cosmo
- Per Dio
In realtà sto parlando dei componenti essenziali dei versi, della stoffa di cui i versi sono fatti.
Nelle poesie sono presenti in modo inscindibili, strettamente in relazione l'un l'altro, in un continuo richiamo l'uno con l'altro.
Cerchiamo di vedere come essi si manifestano nel corpo della poesia, nell'evolversi dei passaggi espliciti e impliciti disegnando uno schema ideale di lettura che si riferisce ad uno sfondo, a un'atmosfera (tonalità affettiva) comune, per nulla esaustivo. Una bussola per semplicemente disegnare una traiettoria interpretativa.

Ascoltate alcune poesie, ne recito una io, che mi sembra una "sintesi" efficace che può aiutarci per lo scopo. 

dalla sezione "Poesie nuove" (P.50)

Guardo spalancato l'universo
e una coltre di stelle
dirige il mio cuore
oltre la sommità possibile del dicibile.
silenzio immenso fatto di luce e colori.
L'arcano svela se stesso alla velocità della luce.
Verso luci e profondità
ancora sconosciute.
La mia anima a Dio
chiede dimora
perché da quegli abissi
sorga ancora e per sempre l'amore.
Quell'amore di creazione
che mantiene ancora il privilegio
dell'eternità del tempo.
Esiste il tempo senza la vita?
L'eternità è teoreticamente possibile
senza una propria coscienza,
o è la vita stessa che ne svela la meraviglia?
Poter immaginare d'esserci senza esistere,
questa è il dilemma di tutti i soli.
Accovacciato all'ombra dell'Onnipotente
la mia intelligenza vacilla
abdicando alla comprensione
che si riconcilia con il cuore.

In varie poesie il punto di partenza è prettamente fisico - percettivo. Vi è un corpo, una figura umana (magari rappresentato in particolare da alcuni elementi fisici). È immerso entro una natura che si riverbera tramite alcune caratteristiche, vegetali (floreali in particolare) o minerali. Immediatamente, compaiono gli elementi cosmici: terra (dimensione paesaggistica), l'acqua (prevalentemente il mare), l'aria (nuvole, vento) e la vitalità del fuoco. Compare la visione del firmamento: cielo, stella infinitezza dello spazio e del tempo.
Soprattutto compare un altro elemento molto importante: la luce, che svolge essenzialmente una duplice funzione, quella di essere un elemento che interagisce con gli altri elementi vitali, così come espresso dalla dimensione cromatica (la presenza di vere e proprie coloriture: verde, rosso, ocre, azzurro, bianco) e nello stesso tempo svolge la funzione di "medium" spirituale che rimanda al divino, quale epifania del tutto.
Rispetto a come definire l'elemento luce, sono ricorso, devo dire con una certa preferenza personale ad un filosofo francescano della scuola di Oxford del 1200, Grossatesta uno degli esponenti della metafisica della luce, come definita da Clemens Baeumker, la quale ha attraversato tutta la filosofia e teologia medievale, elaborando concezioni in cui il fisico, lo spirituale, l'anima il corpo, Dio e il mondo si legano all'idea di luce.
Attraversa il neoplatonismo, la sua derivazione araba, ricongiunta alla tradizione teologica cristiana sullo sfondo della dottrina agostiniana dell'illuminazione divina dell'intelletto la dottrina di Grossatesta offre l'opportunità di connettere insieme piano fisico, psicologico, gnoseologico e teologico sotto l'insegna della luce. Tralascio di specificare i vari aspetti riguardanti i vari piani [4]

Eseguo solo un passaggio sul nucleo centrale del pensiero metafisico e teologico grossatestiano, che si articola intorno all'assunto che Dio è luce, e non in senso metaforico. La luce di Dio non è né spirituale, come quella dell'intelletto angelico e umano, né corporea come quella che costituisce gli enti naturali: è indefinibile e completamente trascendente. Tuttavia è luce, e poiché tutto ciò che è creato è a somiglianza di Dio, ogni ente è aliquod genus lucis [5]. Dunque anche sul piano teologico si avvalora l'assunto che ogni esistenza è una forma della luminosità [6]

Il passaggio a questa dimensione si misura però con l'incanto della condizione estatitica del poeta e l'incantamento della parola poetica. Di fronte all'assoluto, alla sua epifania, si coglie il limite del linguaggio, l'impossibilità della parola di dire quel tutto nella sua pienezza e nel bagliore luminoso in cui appare. Di qui il ritirarsi nel silenzio.

Il silenzio ha dunque questa motivazione. Il restare attoniti di fronte all'indicibile dell'Altro e nello stesso tempo farsi "spazio" dentro perché l'altro possa essere accolto, in una sorta di abbandono (Gelassenheit) per poter cogliere una nuova dimensione del senso che il poeta evocherà attraverso il suo dire, che può assumere varie caratteristiche: il balbettio che esprime incertezza e spaesamento, il bisbiglio introspettivo (o la preghiera), la pronuncia della parola luminosa ed evocativa.

Certo io ho tagliato con l'accetta e molto di più si può dire rispetto ai versi. Aggiungo una mia considerazione, condizionata dalla mia personalissima prospettiva.
Ciò che io vi ho detto sulla poesia di Vito sembra prevalentemente mettere in evidenza una forma di amore (ricordate siamo partiti proprio da questo) che ha una traiettoria ascetica che ci muove dalla terra al cielo, proprio per "unirsi" (unione mistica) al divino, in piena trascendenza. A immergersi, per richiamare Dante, entro l'amore che tutto move.

Io trovo però che il discorso non sia del tutto così lineare. Avverto delle "anomale oscillazioni", come se a volte il pendolo tendesse più verso l'immanenza, verso quella dimensione amorosa che richiama unità del mondo e di Dio, di un mondo che è Dio e e di un Dio che è mondo, qui gli echi (impercettibili) bruniani si fanno, a mio avviso, sentire. O almeno sono io che li sento o li evoco perché li preferisco.

Per concludere poesia Pag.37


Per le afonie del mio cuore
il tuo canto è redenzione d'amore
estatico suono del profondo
luce nell'ascesa,
abbaglio delle melodie intellegibili.

Il salmodiare dei tuoi occhi è un dondolio luminoso, una margherita, un'ape, 

un suono che non ritorna, una meraviglia per il mare aperto.


Ecco, qui, per me, potrebbe iniziare un altro percorso per "dire e tacere la poesia", per avvicinarsi alla essenza della poesia da un'altra prospettiva, mettendo a fuoco in particolare gli aspetti del "dire" nella sua dimensione fonetica e corporea.
Mi aveva molto colpito l'esperimento delle Sono-poesie, che danno una visione più sfaccettato della figura di Vito (Musicista, compositore, cantante). A partire da esse, avrei cercato "l'essenza della poesia" fuori dalle vie del significato, esplorando, paradossalmente, altri sentieri che hanno più a che fare con la voce, il corpo, il godimento e la phonè.




[2]Ho citato Goethe solo per il titolo del libro "Le affinità elettive", perché tale titolo prende spunto dalla chimica dell'epoca: "deriva dall'affinità chimica, proprietà degli elementi chimici che descrive la tendenza di alcuni di essi a legarsi con alcune sostanze a scapito di altre"
[3] Diciamo più che un procedimento chimico oserei pensare a una fusione di animus e anima del processo alchemico in cui predominano assonanze, dissonanze, comunanze e distanze
[4]Ontologia. Principio ontologico basilare della metafisica della luce è che essa costituisce la componente strutturale essenziale di ogni essere fisico, animato e inanimato.
Cosmologia. In ambito cosmologico la lux è dunque ciò che permette la costruzione dell'universo, a partire dal primo atto divino della creazione: fiat lux.
Filosofia naturale. Nell'indagine fisica la luce è l'elemento attivo che propagandosi dai cieli opera causalmente nel mondo sublunare.
Altro tema caratteristico della metafisica della luce è il superamento della rigorosa bipartizione del cosmo aristotelico in super e sublunare, quintessenziale ed elementare, in quanto il sinolo di luce e materia costituisce il composto primario di tutta la realtà.
Psicologia e dottrina della sensazione. La luce ha una funzione operativa, è il medium attraverso il quale l'anima agisce sul corpo permettendogli di muoversi e di avere sensazioni. In una prospettiva essenzialmente agostiniana, ove la sensazione è il manifestarsi all'anima di una passione subita dal corpo, il medium luminoso permette il collegamento fra sostanza spirituale (anima) e sostanza materiale (corpo)
Gnoseologia. Nel contesto gnoseologico, la metafisica della luce accompagna e consolida la tesi agostiniana dell'illuminazione divina dell'intelletto.
[5] Un qualche genere di luce
[6]Grossatesta afferma che ogni forma esistente è un qualche genere di luce (aliquod genus lucis) e manifestando sé stessa rende palese l'esistenza dell'ordine naturale delle cose, così nella metafisica della luce la materia luminosa è immagine ed epifania terrena di un più alto genere di luce, divino e spirituale. Semplicissima e priva di parti, indifferenziata e fonte di ogni differenziazione, diviene tramite per la concezione della dialettica trinitaria. Nella sua capacità di autogenerazione ed autopropagazione è manifestazione del divino: "lumen de lumine, deus de deo".










































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